venerdì 29 novembre 2013

Il chakra della gola


Creatività a tavola in un ristorante di Tulum, Messico


The word spoken with manners and radiance effectively gives infinite strength to the speaker, and the experience is Godlike.

Yogi Bhajan


Sulla scia delle ricette d'amore, oggi parliamo di gola: in termini di creatività in cucina ma anche di comunicazione, con il supporto dello yoga.

Secondo l'anatomia yogica, i chakra sono vortici di energia (la parola in sanscrito significa proprio "vortice" o "ruota") che corrispondono a precise aree del nostro corpo: il loro corretto funzionamento (e movimento) mantiene la salute in buono stato. In termini di medicina occidentale questo accade quando le ghiandole del nostro corpo, il sistema endocrino, funzionano in modo bilanciato, agendo anche sul sistema nervoso.
Di chakra che passano per il corpo ce ne sono tantissimi, ma i principali corrispondono appunto al nostro sistema ghiandolare. Il chakra della gola, in particolare, è localizzabile in corrispondenza della tiroide (e paratiroide), una meravigliosa ghiandola a forma di farfalla: quale immagine più collegabile a gentilezza, libertà e grazia?

Il chakra della gola è il centro dell'espressione creativa e autentica, della nostra verità: le parole hanno un grande potere nel produrre un effetto sull'ambiente e sulle persone a cui le facciamo arrivare. Quello che diciamo e come lo diciamo esprime chi siamo: ecco perché una comunicazione aggraziata, priva di parole negative e cariche di impulsività fuori controllo, ci rende migliori comunicatori in quanto persone più piacevoli e degne di essere ascoltate. Persino la nostra voce ha il potere di arrivare più o meno piacevolmente alle orecchie altrui: non c'è bisogno di avere la preparazione di un cantante, però prestare attenzione al tono di voce (in modo che sia gentile e sicuro al tempo stesso) sicuramente migliora il processo di comunicazione.

Se la creatività più in termini fisici nasce naturalmente sotto l'ombelico (al livello del secondo chakra, corrispondente al sistema riproduttivo), la creatività applicata e consapevole risiede nella gola ed esprime con verità chi siamo, ovvero la nostra anima.
Quando paure, insicurezza e stress ci bloccano, le nostre capacità di esprimerci e la nostra creatività non fluiscono: sono giorni in cui la pagina resta bianca perché non troviamo le parole, la tela litiga con i colori, i bambini sembrano non volerne sapere di darci retta, ci sentiamo pigri e poco attivi, perdiamo opportunità e siamo chiusi al rinnovamento e la trasformazione non accettando i cambiamenti. Sembra insomma che nulla si muova, ma la verità è che siamo noi a non fluire e non lasciare che le cose si muovano intorno a noi. Non siamo liberi né in grado di trasformare le sfide in opportunità.

In questi casi di staticità, un po' di inventiva e attività rilassanti (ma dinamiche) possono essere di grande aiuto. Si può usare il corpo: praticare yoga ovviamente è perfetto, ma si può anche ballare, cantare (il chakra della gola si attiva immediatamente!), parlare con i bambini, compiere un gesto gentile nei confronti del partner o di noi stessi, fare una passeggiata nella natura o qualunque altra attività che ci muova da quello stato di stagnazione e ci liberi dall'auto-prigionia.

Io ieri ho cucinato, per esempio: la creatività in cucina è super divertente. In questi giorni di Thanksgiving sono stata particolarmente ispirata dal cibo, nel mio caso ovviamente vegetariano.

La mia idea di ispirazione, fortemente legata a un costante flusso di gratitudine, è già venuta fuori più volte in questo blog (qui i dettagli). Yoga e creatività sono fortemente interconnessi e l'aspetto più bello, a mio avviso, è che ciascuno di noi può esprimersi nel modo che più gli è congeniale, in totale libertà, per dare vita a un'opera creativa, qualunque essa sia. Ricette comprese.

Ogni prodotto della terra mi provoca un moto di gratitudine di per sé: più è naturale, appena colto o meno raffinato possibile, più dà energia sana e duratura.
Avete mai provato a prendere un chicco d'uva in mano e non mangiarlo subito? Toccate la superficie liscia della buccia con i polpastrelli, accarezzatelo con le labbra, annusatene la fragranza, provatene la consistenza solo con la lingua e il palato in bocca e solo all'ultimo usate i denti perché vi doni il suo succo, masticando lentamente e bene. Ringraziate e assimilate.
Ogni pasto potrebbe essere un'occasione per meditare e, di sicuro, in questo modo sarà molto più facile da digerire.

Detto ciò, sono siciliana e amo il cibo gustoso. Ho una mamma che dipinge e cucina divinamente, abbellendo ogni piatto con fantasia. Io non sono né una cuoca né una pittrice, i miei ingredienti sono le parole, ma nelle mie vene sicuramente scorre quel flusso continuo di ispirazione al creare e un'attitudine godereccia alla buona tavola.

Il risultato di questi giorni in cucina è stato all'insegna del goloso cioccolato e voglio condividerlo con voi.
Nelle ricette che seguono, gli ingredienti sono tutti biologici e non trovate uova. Io mangio i latticini, ma se siete vegani ci sono sempre altre possibilità!
Si può essere golosi in modo sano: basta usare ingredienti di qualità e non esagerare con lo zucchero (e le fette di torta!).

Anche cucinare è una forma di comunicazione e un gesto d'amore. Nel mio caso, queste ricette sono avvenute per nutrire il mio CV, i vicini, gli amici a cena. E la mia creatività.

Vi fa gola?



Torta Sacher (quasi) vegana


Torta Sacher (quasi) vegana

Ingredienti:

250 grammi di farina tipo 0
150 grammi di zucchero di canna integrale
80 grammi di olio di girasole
120 grammi di cioccolato fondente
2 cucchiai abbondanti di cacao
250 grammi di latte (o latte di soia se la volete del tutto vegana!)
2 cucchiaini di lievito
1 cucchiaino di bicarbonato
2 cucchiai scarsi di aceto di mele
marmellata di albicocche q.b.

Per la copertura:

200 grammi di cioccolato fondente
100 grammi di latte (o latte di soia)
2 cucchiai di marmellata di albicocche
2 cucchiai di sciroppo d'acero

Preparazione:

Versate l'aceto di mele nel latte (o latte di soia!) e lasciate riposare per qualche minuto. Aggiungete il cioccolato fondente che avrete sciolto a bagnomaria, due cucchiai di marmellata di albicocche, lo zucchero di canna e l'olio. In un'altra terrina setacciate farina, lievito, bicarbonato e cacao; aggiungete un po' alla volta ai liquidi (io ho usato il robot da cucina, perché l'impasto della Sacher è più consistente di una torta soffice standard). Ungete e infarinate una teglia da forno di 24cm di diametro, versate il composto e mettete in forno preriscaldato e ventilato a 160 gradi. Fate cuocere per 35 minuti. (Se la teglia è più piccola, dimezzate le dosi e infornate per una decina di minuti in meno).

Fate raffreddare, poi tagliate la torta per il lungo e spalmate uno strato generoso di marmellata di albicocche sulla parte bassa. Ricoprite con l'altra parte della torta. Nel frattempo sciogliete a bagnomaria il cioccolato fondente per la copertura, aggiungete lo sciroppo d'acero, due cucchiai di marmellata di albicocche e il latte (o latte di soia!). Spalmate il tutto quando è ancora caldo sulla torta e fate raffreddare per mezz'ora in frigo prima di servire.


Cupcakes, vegane a piacere

Direttamente dagli States, il dolcetto più famoso che ci sia.

Basic (Vegan) Cupcakes

Ingredienti per 6 cupcakes alla vaniglia e 6 cupcakes al cioccolato:

1/4 di litro di latte (o latte di soia)
1 cucchiaino di aceto di mele
110 grammi di burro (sostituibile con margarina oppure 80 ml di olio di girasole)
170 grammi di zucchero
estratto di vaniglia q.b.
175 grammi di farina
2 cucchiai abbondanti di cacao
1 cucchiaio di amido di mais
1 cucchiaino di lievito
1 cucchiaino di bicarbonato
sale q.b.

Per una copertura di cioccolato spessa e ricca (io ne faccio spesso a meno... de gustibus!):

110 grammi di burro (o margarina) ammorbidito a temperatura ambiente
150 grammi di sciroppo d'agave, chiaro o scuro
2 cucchiaini di estratto di vaniglia
40 grammi di cacao
50 grammi di latte in polvere (o latte di soia in polvere)

Preparazione:

Lasciate addensare il latte con l'aceto di mele per qualche minuto a parte. Mischiate burro e zucchero nel mixer a media velocità per un paio di minuti e poi dividete il composto a metà.
In una metà aggiungete 2 cucchiaini abbondanti di estratto di vaniglia, metà del latte con l'aceto, 100 grammi di farina, l'amido di mais, mezzo cucchiaino di lievito, mezzo cucchiaino di bicarbonato, un pizzico di sale.
Nell'altra metà aggiungete 1 cucchiaino scarso di estratto di vaniglia, l'altra metà del latte con l'aceto, la farina rimasta, il cacao, mezzo cucchiaino di lievito, mezzo cucchiaino di bicarbonato, un pizzico di sale.
Cuocete in forno preriscaldato e ventilato a 180 gradi per 20 minuti.

Lasciate raffreddare mentre preparate la copertura (se la volete): sbattete margarina e agave nel mixer a media velocità fino ad ottenere un composto liscio. Aggiungete la vaniglia, il cacao, il latte in polvere (o latte di soia in polvere) a bassa velocità. Se il mix appare troppo denso, aggiungete un po' di agave, se troppo liquido aggiungete pochissimo latte in polvere.
Mettete in frigo per 10 minuti per far rassodare e uscitelo 15/20 minuti prima di doverlo spalmare (con creatività!) sulle cupcakes completamente raffreddate.

martedì 26 novembre 2013

Ricette d'amore

A la mesa y a la cama una sola vez se llama. (Laura Esquivel, Como agua para chocolate)

Passata dai 30 gradi dello Yucatán in Messico ai -3 della mia Old Town statunitense, ho cominciato a coprirmi di strati pelosi già scendendo dall'aereo: le hostess hanno capito subito che sono una straniera in America, assistendo alla progressiva operazione di copertura con maglione, sciarpa e cappello di lana già al momento dell'atterraggio.
In effetti gli Americani, Dio li benedica, riescono a stare in calzoncini per strada anche quando il gelo forma stalattiti che penzolano dai nasi.

Il volo di ritorno è stato utile per finire di leggere il secondo libro che avevo portato in viaggio, per celebrare l'esplorazione del Messico anche con la letteratura nazionale: dopo Carlos Fuentes, è stata la volta della Esquivel. Il suo "come acqua per il cioccolato" si riferisce a un'espressione comune in Messico: qui la cioccolata calda viene spesso fatta con acqua invece che con latte, lasciando cadere le gocce di cioccolato nell'acqua quando bolle. L'espressione popolare in effetti descrive uno stato di passione, eccitazione sessuale o rabbia: in altre parole, quello che noi diremmo in italiano "ribollire del sangue nelle vene". Può anche significare che qualcosa è "perfetto" per qualcos'altro, proprio come acqua e gocce di cioccolato si fondono insieme e danno luogo a una buonissima cioccolata calda.

Cioccolata calda a San Cristóbal de Las Casas, Messico

Il romanzo della Esquivel è un mix di ingredienti e ricette relativi sia al cibo che all'amore. Con un pizzico di magia e follia che fanno parte della creatività.
Dal momento che sia il cibo che l'amore mi appassionano e ritengo si prestino facilmente all'espressione della nostra creatività, meglio ancora poi se combinati con una lettura in lingua originale e un viaggio nei luoghi in cui le storie sono ambientate, questo post è dedicato a una riflessione sui sensi.
Ovviamente, lo yoga non può non fornire un ottimo spunto di gestione dell'argomento. Letteralmente, di-gestione: quando si tratta di assaggiare e gustare, di lasciarsi tentare e godere delle voluttà che questa meravigliosa vita ci offre, inevitabilmente ci troviamo poi a dover processare l'accaduto.
Che si tratti di peccati di gola o relazionali, il solo fatto di chiamarli "peccati" induce a sensi di colpa, rimorsi, giudizi. Tutta roba difficile da digerire.

Non si parla di peccato in questo blog, per il semplice motivo che chi scrive non trova che la parola "peccato" sia neutrale, bensì il risultato di un lavaggio del cervello, lì dove invece non c'è niente di sporco se non il proprio subconscio, sovraccaricato - poveretto - da tutte le nostre paure, frustrazioni e giudizi che rivolgiamo verso noi stessi.
Per essere felici basta essere coerenti con se stessi, accettarsi e volersi bene, perdonarsi e vivere ogni momento con gratitudine. Il buon senso e la saggezza si possono applicare in qualunque cosa, dalla cucina (dove se si esagera con le dosi, così come se si lesinano gli ingredienti per insaporire, i risultati sono scadenti) alle relazioni (che possono essere sane se si hanno equilibrio, autostima e consapevolezza, oppure malate se invece queste cose scarseggiano).
In ogni caso in Sicilia c'è un detto: peccato cu' mori, peccato chi muore, per dire che solo la morte è una vera perdita. Per tutto il resto, niente è perduto, soprattutto quando si tratta di chili (che, finita la dieta, basta poco per rimettere su) e d'amore.

Yogi e yogini lo sanno bene: non c'è perdita e guadagno. Sono invenzioni della nostra mente.
La neutralità che in questo blog è tanto reclamata non significa essere privi di emozioni o avere una vita insipida e insapore. Tutt'altro. Una mente neutrale ci consente di sapere esattamente quali sono gli ingredienti giusti, la quantità perfetta, la temperatura che ci serve per essere cotti a puntino. Innamorati della vita, con tutti i sensi, e consapevoli di come preservare intatta la nostra integralità. Per nutrire meglio la nostra anima. Ed essere perfetti così come siamo, nella nostra imperfezione umana: come l'acqua per il cioccolato.

Ecco perché l'alimentazione e il cibo sono parti fondamentali dell'esperienza: i sensi ci permettono di odorare e gustare il cibo, vederlo nei suoi colori brillanti e naturali, toccarlo mentre lo prepariamo, magari associare ricordi piacevoli quando sentiamo nell'altra stanza armeggiare qualcuno con stoviglie e fornelli.
Quando ci accostiamo al cibo con consapevolezza, prendendoci cura e rispettando il nostro corpo quale tempio della nostra anima, la nostra salute ne trae beneficio.

Golden Milk


Ricetta per scaldare il cuore in queste fredde giornate invernali: Golden Milk, il latte dorato.

Questa ricetta si deve a Yogi Bhajan, maestro di kundalini yoga, e potete trovarla su "Foods for Health & Healing", KRI Publications.
Oltre ad essere una deliziosa bevanda, gli ingredienti che la costituiscono sono ottimi per le ossa e le articolazioni, per sciogliere i depositi di calcio. La curcuma, in particolare, oltre ad essere un ottimo "lubrificante" per mantenere le articolazioni flessibili (ricetta perfetta per ogni praticante di yoga!) è eccellente anche per la pelle e le mucose, specialmente gli organi di riproduzione femminili.

Ingredienti:
2 cucchiai di olio di mandorle dolci spremuto a freddo
la punta di un cucchiaino di curcuma
4 cucchiai d'acqua
1/4 di litro di latte
miele q.b. per dolcificare

Bollire la curcuma nell'acqua fino a formare una pasta densa. Se si prosciuga troppa acqua, aggiungerne un pochino.
Nel frattempo scaldare il latte con i due cucchiai di olio di mandorle: appena il latte comincia a bollire, togliere immediatamente dal fuoco.
Unire il latte alla pasta di curcuma e mescolare: il latte assumerà un caratteristico colore dorato.
Aggiungere miele quanto basta per dolcificare.
Tocco finale, facoltativo ma dalla sottoscritta fortemente consigliato: mettere il liquido nel frullatore e frullare circa un minuto fino a ottenere una spuma e servire con una spruzzata di cannella.

Chiudere gli occhi e lasciarsi riscaldare dalla sensuale cannella e la morbida spuma dorata, amandosi molto.

sabato 23 novembre 2013

In altre parole, Messico



Spiaggia bianca su cui camminare anche a mezzogiorno senza scottarsi i piedi, il profumo e il suono dell'oceano (anche l'acqua ha la temperatura perfetta), vento fresco per rinfrescarti dal sole tropicale: per una siciliana che vive a Washington DC tutto questo è come scoprire di poter respirare sott'acqua!
Un'amaca in un portico di legno con vista oceano, un libro da leggere e il wifi con cui scrivere al computer direttamente dalla cabaña. Nella natura, con il verde giungla e il blu infinito in tutte le sue gradazioni di colore tra cielo e mare.
Non a caso ho lasciato per ultima la costa del Golfo del Messico in questo viaggio: finalmente sono in paradiso! Solo che si chiama Tulum.

Alba sulla spiaggia di Tulum





























Per arrivare qui, però, sono dovuta passare dall'inferno. E non mi riferisco alle avventure stancanti eppure bellissime delle mie esplorazioni: parlo di un solo giorno, a Chichén Itzá per la precisione.
Come in ogni viaggio che si rispetti ci sono sempre degli imprevisti. Cambiare hotel a Mérida all'ultimo momento perché in camera ci sono le cucarachas può capitare, per esempio. Quello che riesce sempre a sorprendermi invece è quando un essere umano manca di grazia e gentilezza.

Tutto è cominciato la mattina presto che dovevo partire da Mérida per Chichén Itzá: questa volta ho avuto la brillante idea di prendere un tour guidato invece di andare da sola.
Aspetto nella hall dell'albergo che la guida passi a prendere me e un gruppo di altri turisti (diversamente da me, per lo più tutti in coppia).
La guida arriva correndo (è in ritardo) e letteralmente tira per il braccio solo chi trova più vicino. Non me, un po' distaccata, e carica come un mulo fra: valigia per quanto piccola, zaino riempito a tappo, busta della spesa perché dove sto andando non avrò da mangiare, giubbotto pesante (reduce dal freddo statunitense e di Città del Messico) che non ci entrava nella piccola valigia, in una mano il cellulare dando il buongiorno al mio CV rimasto negli US, l'altra nel marsupio per cercare la ricevuta del tour da far vedere alla guida.

Ma la guida frettolosa la ricevuta non la chiede. Quando chiedo conferma alla reception che si tratta del tour e mi fanno cenno di sì, corro fuori in strada per raggiungere il gruppo, le cibarie sporgendosi pericolosamente dalla busta e il giubbotto che si aggrappa alla vita con tutte le sue forze. Andrés, così si chiama la guida, prende la mia valigia e la carica sull'autobus, mentre io chiedo: "andiamo a Chichén, sì?" e lui "claro!" senza neanche guardarmi.
Solo dopo un quarto d'ora di viaggio, l'appello. Per raccogliere le ricevute.
"Scusi signore, non mi ha chiamato!" dico, visto che sembra io sia invisibile (sono seduta in seconda fila e lui è proprio di fronte a me!).
Si avvicina, mi strappa dalle mani la ricevuta, la guarda schifato, prende il microfono da guida e informa tutti: "Questa signorina si è intrufolata senza dire niente, ma non è con il nostro gruppo! La faremo scendere!" e lo dice pergiunta in due lingue. Perché lui, ci tiene a precisare giusto in quel momento, è una guida competente e parla la sua lingua, lo spagnolo, ma anche l'inglese ("spagnolizzato", aggiungerei io).
Gli unici quattro English-speakers sull'autobus (una giovane coppia di americani e una più cresciuta di australiani) si girano tutti insieme verso di me.
"Lo que pasa..." ("il fatto è che..."), mi rivolgo a lui.
Ma Andrés ha già cominciato a spiegare il percorso, le fermate, le raccomandazioni per il viaggio, ignorandomi.

Mi si gonfia credo una vena sulla fronte, ma mantengo la calma e aspetto che finisca: "Signore, cosa facciamo allora? In che senso mi fa scendere?"
Risponde solo dopo che ha fatto una telefonata durante la quale io capisco tutto ma forse lui non ci crede che una donna che viaggia da sola parla più lingue di un uomo messicano che fa la guida: dice che io sono salita a sopresa sul suo autobus, senza dire niente, quando invece il mio tour era con un'agenzia diversa.
Una volta riagganciato, per maggiore chiarezza (sempre parlandomi come fossi una sordomuta che non capirebbe neanche la propria lingua) mi dice che io non sono nella sua lista e non posso andare con loro. "Entiendes? Do you understand?"
"Signore, io capisco, ma non ho intenzione di scendere da questo pullman e rimanere per strada da sola..." ma non mi ascolta né risponde, piuttosto fa un'altra telefonata.
"E va bene!" è la concessione dopo aver chiuso la telefonata. "La ragazza viene con noi, poi a Chichén Itzà però andrà con la sua guida dell'altra agenzia!".
E per tutto il prosieguo del viaggio in autobus fa quello che è la sua priorità, la guida. Degli altri. Io non sono sulla lista quindi non esisto.

Arrivati alla zona archeologica per la visita, chiede che tutti scendano gli oggetti di valore dal bus, perché potrebbero esserci furti.
"Ora ti passo all'altra guida!" mi dice sottovoce.
Ok, meglio pacco postale che dispersa.
Scendo con il mio marsupio e il pesante giubbotto legati in vita, lo zaino riempito come da trasloco in vista della prossima tappa, la busta con la spesa: non sono oggetti di valore, ma io devo cambiare autobus, giusto? Mi aspetto di recuperare anche la valigia, andare con l'altra guida e l'altro gruppo e posare tutto sull'autobus giusto, per fare comodamente la mia visita delle rovine.

Ma no: dell'altra guida neanche l'ombra, sotto i quaranta gradi del posto e il peso dei miei effetti personali. Lo deduco, visto che Andrés continua a fare quello che deve come se niente fosse, come se non dovesse consegnare il pacco. Armato ora di ombrello per farsi riconoscere, chiede che tutti lo seguano per andare a visitare le rovine.
"Signore" gli dico con voce gelida e pacata, ma bruciante. Ora sono al centro del gruppo insieme a lui. "Pretendo che lei mi risponda. Dov'è la mia guida?"
"Non è qui. Lei verrà con noi!"
Comunicarmelo no? Co-mu-ni-ca-zio-ne!
"Io sono carica di roba perché pensavo di fare cambio autobus (e guida!) come mi aveva detto! Non posso venire così con voi. Posso visitare le rovine anche da sola, ma almeno mi faccia lasciare queste cose sull'autobus!".
"Non si può, ora l'autobus è a fare rifornimento!"
"Ok, l'altro autobus allora... quello del mio tour!"
Silenzio.
"Tra l'altro ho anche la valigia nel suo autobus, perciò voglio assicurarmi che non ve ne andiate senza che l'abbia prima recuperata..."
"Avevo detto di scendere tutte le cose di valore!"
"Signore! La mia valigia è stivata come tutte le altre, nel pullman!". Nessuno ovviamente si è portato dietro i bagagli, rimasti al sicuro nell'apposito scompartimento inferiore dell'autobus.
Lui smette di nuovo di parlarmi, prende il telefono e chiama, non si sa chi.
Gli altri ancora intorno a noi due, pubblico loro malgrado.
"La ragazza si rifiuta di entrare con noi a far la visita!" gli sento dire.
Mi esplode la vena del tutto e sento il fuoco dallo stomaco che arriva alla testa.
"Mi faccia parlare con l'agenzia!" gli dico.
Non mi risponde e chiude la telefonata.
"Mi dia il numero dell'agenzia, così chiamo io e voi andate, io visito le rovine da sola ma almeno mi organizzo con tutte queste cose!"
Non mi risponde e "spiega" a tutti cosa sta succedendo. "Allora, la ragazza non viene con noi, la sua guida verrà a prenderla! Noi andiamo!".
Timidamente, un ragazzo interviene: "Le ha chiesto il numero di telefono..."
A lui risponde, forse perché è maschio: "Non ho il numero, perché quella guida è di un'altra agenzia!".

A quel punto non ho più alcun dubbio. L'amabile messicano non ha mai preso accordi con nessuno, non c'è nessuna guida di 70 anni col bastone (sua descrizione) che dovrò riconoscere alla biglietteria e che sta aspettando me e, soprattutto, lui non è un signore. Decido quindi di non chiamarlo più così, anzi, di non rivolgergli mai più parola a mia volta. Mi rivolgo ai ragazzi americani chiedendo loro per favore di non farlo partire se prima non ho recuperato la mia valigia. Loro, assai solidali, mi fanno croce sul cuore.

Da lì, nel giro di mezz'ora, ogni cosa si risolve: trovo il numero dell'agenzia sulla mia ormai tristemente nota ricevuta, chiamo e qualcun altro (non la guida di cui mi aveva parlato lui, zoppa e settantenne, che poveretta non se la sentiva!) mi preleva dalla biglietteria e mi porta a recuperare la valigia alla stazione di rifornimento dove troviamo l'autobus.
Dopo due ore e mezzo sono dentro e sto visitando le rovine, senza la guida e senza il pranzo che erano inclusi nel tour. E senza il trasporto al cenote Ik-Kil la cui visita era prevista, a cui arrivo pagando un taxi a mie spese: bagno di folla, letteralmente, perché a quell'ora la grotta d'acqua è piena di turisti.
"Kukulcán!" esclamo dentro di me, perché sembra un anatema, ma in realtà in antica lingua Maya significa "serpente piumato" ed era il dio protettore dei sacerdoti.

Piramide di Kukulcán, Chichén Itzá


Cenote Ik-Kil










































Dopo una notte di massacro di mosquitos (io ne ho uccise 26 in camera, loro mi hanno lasciato 17 pizzichi di quelli enormi, duri e rossi sulle gambe e quanto basta sul resto del corpo), eccomi qui.
Ho preso un autobus di seconda classe, insieme alla gente locale, per arrivare a Tulum: niente tour, niente turisti, niente guide. Fra sacchi della spazzatura pieni dei loro oggetti di valore, musica latinoamericana e un autista che ama ballare mentre guida. Assolutamente perfetto. Come ho potuto cambiare queste abitudini di viaggio ormai collaudate?

Qui a Tulum sono iguane, azzurro, giochi di luce, albe e tramonti, onde, spiaggia, rovine Maya a ridosso sul mare.
Un caso su un milione: ritrovare una deliziosa coppia di francesi conosciuti a Palenque mentre visitano le rovine di Tulum lo stesso giorno che ho scelto di visitarle io. Andare a cena con loro un'altra volta, per festeggiare.
Un tassista che si chiama Ausencio ma gli piace essere chiamato Barack Obama (la somiglianza c'è davvero!) e dice di essere povero ma felice, perché così sa che tutti i suoi amici lo amano per quello che è e non per i soldi.



Tulum, Zona Arqueológica



Chili relleno con tortilla di mais e salsa di fagioli

E il Messico mi ritorna negli occhi tutto insieme: le croci Maya e quelle cattoliche, le superstizioni e la religione, il cibo piccante (oppure no) tra chili relleno, guacamole e pico de gallo, licuados de chaya, zuppa di cactus, tortillas, tacos, tamales, frijoles, antojitos e tanti altri buonissimi piatti (vegetariani) che ho assaggiato. Le zanzare, i giganti pipistrelli vampiro e le enormi cucarachas. Gli "andale!", i "buen@s!" (per abbreviare il buongiorno e la buonanotte), i "muy amable!" che mi ricordano il "troppo gentile!" siciliano. Le rovine, i palazzi coloniali, le spiagge, l'oceano. I suonatori mariachi. Le persone gentili, sempre disposte a darti una mano, a fare amicizia o farti compagnia (compresi i tassisti sognatori e i camerieri che quando hai già pagato il conto si dicono preoccupati che mangi troppo poco), e anche quelle che sono state sgarbate, perché è solo che non conoscono il loro lato migliore.

Non so perché le altre persone dopo una certa ora vanno via da questa meravigliosa spiaggia di Tulum, ma io rimango fino al tramonto. Voglio imprimere nelle orecchie il suono dell'oceano e del vento, negli occhi l'azzurro del cielo, il blu del mare, il candore della spiaggia e il verde delle palme, nei piedi la morbidezza della sabbia fresca e le carezze delle onde.

Tramonto in spiaggia

Il momento è arrivato, cammino lentamente verso la riva lì dove l'oceano bacia la sabbia. Lascio delle orme che presto verranno cancellate dalla risacca. Guardo l'orizzonte: non c'è terra oltre le gradazioni di blu davanti agli occhi. Mi perdo volontariamente in quell'infinito e mi sento libera, salata e immensa.
Prendo un bel respiro e saluto, grata. Volto le spalle e faccio qualche passo. Sembra quasi che lui (l'oceano del Golfo del Messico) mi voglia seguire, un'onda dopo l'altra, l'acqua dietro i miei talloni.
"Ti ringrazio di cuore, ti porterò sempre con me, ma il mio posto è dove posso essere una e infinita come adesso, però in due corpi..." e gli occhi grandi del mio CV mi appaiono, il profumo della sua pelle nell'aria insieme alla brezza marina.
Domani si torna a casa.


martedì 19 novembre 2013

Valentina sul panino

Plaza Grande, Mérida


La prima volta che in Messico mi hanno chiesto se volevo Valentina sul panino, la mia immaginazione ha fatto i fuochi d'artificio.
Valentina è una salsa piccante (a base di chili, cos'altro?): il brand, nato a Guadalajara, è talmente noto che il nome "Valentina" in Messico è diventato archetipo di condimenti alla stregua di ketchup o mayonese.
Sembra più il titolo di un fumetto hot (il collegamento con la Valentina di Guido Crepax è inevitabile), eppure funziona.

La comunicazione non è altro che questo: quando lo dici semplice, è più facile da ricordare. Questo non vale solo nell'advertising ma anche in una relazione.

Se provo a parlare con mio marito passandogli ogni singolo pensiero che mi passa per la testa e relative parole ad esso associate, potete stare sicuri che ne carpirà il 10%.
Questo non è per sminuire la sua capacità d'ascolto o le mie capacità oratorie, è soltanto che io sono una donna e lui è un uomo.

C'è una branca dello yoga kundalini che pratico e insegno che si chiama Umanologia e una delle cose che studia è proprio la natura dell'uomo e della donna e la loro relazione, in quanto creature del tutto differenti e ugualmente meravigliose.

Per esempio: l'uomo pensa per problemi, la donna per idee. Vale a dire: "Caro, stavo pensando che potremmo ridipingere le pareti di casa..." e vuoi solo buttare lì un'idea che ti è passata per la mente. Quello che tu ignori è che lui sta già pensando a quale colore dovreste scegliere, quando può fissare in agenda questo evento, stimare il budget necessario per la spesa in questione, pensando a chiamare la ditta dopo la riunione in ufficio di domani. Il giorno dopo, però, quando lui riprende l'argomento tu caschi dal pero: "era solo un'idea..."!

Altro esempio, celeberrimo: l'uomo riesce a fare una sola cosa alla volta, la donna è multitasking, come la dea Kali dalle multiple braccia. Stai preparando la cena, parlando al telefono con un'amica, tenendo in braccio il bambino, e riesci anche a parlare con lui che invece è concentrato sul riparare qualcosa che si è rotto a casa. Il risultato è che, seduti a tavola per la cena, tu pensi lui abbia seguito tutto e gli chiedi: "allora ci pensi tu domani a far la spesa?" e stavolta è lui (che ti aveva detto sì) a cascare dal pero.

La caduta dal pero è insomma la specialità in ogni relazione uomo-donna che si rispetti. Il punto è che si può sorridere di fronte alle differenze, una volta che se ne ha la consapevolezza.
Se la donna comincia a pensare di non essere ascoltata è un guaio. Invece può avere compassione: poverino, non ce la fa. Sta facendo qualcosa? Tutto il suo cervello è concentrato in quello che sta facendo. Diglielo dopo: ascolterà, sei la sua dea, ti ha scelto perché lo ispiri.
Oppure: la donna ha un'idea e l'uomo rimane male se poi prova a metterla in atto e lei fa spallucce. Perché? Lo sai che è fatta così, lasciale sfornare tutte le sue idee, quando davvero vorrà che tu faccia qualcosa per lei te lo chiederà: sei il suo dio, ti ha scelto perché tu la sostenga.

Nel comunicare si può pensare a Valentina (non un'altra donna, per carità!). In una sola parola, tutto il sapore che serve per rendere una pietanza caratteristica e memorabile.
Dirlo facile, leggero, con il sorriso. E se l'altro ancora non capisce, nel silenzio ascolterà. Non nel rimprovero e nelle urla.

Cattedrale di San Idelfonso, Mérida

Qui a Mérida ho passato quasi tre giorni e ho conosciuto: Fernando, Arturo, Roberto e altri di cui - mi perdoneranno - non ricordo il nome. Questi amabili signori erano chi studente, chi professore universitario, chi dipendente al Municipio. Ciascuno di loro mi ha fermato per strada con fare innocente conquistandosi la mia fiducia grazie a un'effettiva disponibilità e preparazione culturale: il professore mi ha illustrato la storia dell'Università di Mérida, lo studente mi ha descritto con cura tutte le attività attualmente in corso in teatro, il dipendente pubblico mi ha parlato degli affreschi del palazzo del governo. Ciascuno, guarda caso, si trovava di fronte ai rispettivi edifici e mi ha fermato proprio là.
Tutti avevano in comune una cosa: alla fine dei loro davvero interessanti e, ho appurato, veritieri discorsi, ti invitavano a comprare nella zona x o y per "aiutare la comunità" o perché "altrove i prodotti sono falsi" oppure perché "domani è festa e chiude tutto".

Questi signori sono artisti della comunicazione. Sanno chi è il target (il turista assetato di informazioni culturali e/o sociali del posto che sta visitando), parlano la tua lingua (e non importa se tu conosci la loro, usano comunque la tua), ti accompagnano con nonchalance nell'esplorazione dell'edificio davanti al quale si sono piazzati facendo presa sul tuo genuino interesse e, cammina cammina e parla parla, ti infilano i "prodotti" e i "punti vendita" nella passeggiata e nel discorso con grande maestria.

Purtroppo per loro hanno beccato un'altra professionista e, probabilmente, una delle turiste peggiori (non solo non ho comprato niente, li ho anche ascoltati fino all'ultimo per gentilezza pur sapendo dove volevano arrivare). Ma sono sicura che il loro marketing funziona.
In ogni caso, sono gentiluomini: una volta che dici chiaramente (ancora una volta, comunicazione!) che non comprerai nulla, girano i tacchi e non insistono.



















L'arte comunque a Mérida c'è davvero: palazzi coloniali, chiese, teatri, danze e canti quasi ogni sera al centro storico. E la gente è davvero gentile, anche quando vuole ottenere qualcosa lo fa con stile e consapevolezza a la mexicána: la viaggiatrice solitaria che non mangia carne e non beve alcolici deve apparire come un fenomeno da indagare. Sono sicura che in poco tempo il loro marketing coprirà anche questo sconosciuto target e aggiungeranno nuovi ingredienti da mettere sul panino.

Affresco di F.C.Pacheco, Creazione dell'uomo dal mais - Palazzo del Governo, Mérida



lunedì 18 novembre 2013

Nella giungla, come farfalle

Agua Azul, Chiapas

Poderose cascate, bancarelle di souvenir e lime rinfrescante, turisti carichi di macchine fotografiche, catapecchie rifugio degli Zapatistas, monumentali rovine Maya, folle di gente appiccicata dal clima tropicale, bambini che per giocare usano ancora le fionde, i copertoni come altalene e le carriole per farsi portare a spasso.
La giungla del Chiapas, dove tutto è troppo nel bene e nel male. La povertà, il caldo, l'umidità, i turisti, le finzioni locali per strappare pesos allo straniero. Ma anche la natura selvaggia e la vita coraggiosa di chi abita questo angolo di mondo.

Cascata Misol-Ha - Salto de Agua, Chiapas
Cascate Agua Azul - Tumbalá, Chiapas



















A Palenque, mai dire Maya: la magia antica si confonde con i flash delle macchine fotografiche di orde di turisti che non badano più di tanto ai divieti che preservano le opere d'arte. Eppure risuona, anche quando pensi che non capirai mai.
Insieme al canto degli uccelli (ne avrò contati almeno sette diversi) e alle prove giganti di una civiltà tanto intelligente quanto violenta: cellulari che squillano, ventenni che schiamazzano e si rincorrono, souvenir appositamente localizzati perché il turista possa comprare qualcosa alla fine del giro.

Rovine Maya, Zona Archeologica di Palenque


















Mi sento piccola di fronte ai templi Maya di Palenque, tanto quanto di fronte ai bambini che giocano davanti alle cascate di Agua Azul e si inzuppano ridendo sotto Misol-Ha. Piccola ma leggera, come se potessi andare e tornare in un battito d'ali. E forse l'ho fatto, senza rendermene conto. Forse si può fare ogni volta che ci sentiamo nella giungla, in mezzo alla confusione di pensieri e preoccupazioni, di fronte a quello che non possiamo cambiare o quando immersi in situazioni intricate e apparentemente senza via d'uscita: possiamo pensare che è solo un attimo, un battito d'ali che fa parte di un volo più lungo e completo.

C'è ancora strada da fare e souvenir intangibili da riportare a casa, di quelli che nutrono l'anima e premiano dopo tanta fatica.
In quella giungla che è la mente, ali spiegate e occhi aperti: ci sono piccole cose che per essere viste vanno colte con leggerezza, lontano da uno sguardo indiscreto e superficiale.


venerdì 15 novembre 2013

Magia

Mercato Chamula, San Cristóbal de Las Casas

E alla fine è arrivata: l'onda anomala di libertà. E' successo in un momento qualunque, a bordo di un camión che da Tuxtla Gutierrez mi ha portato a San Cristóbal de Las Casas.
Dai finestrini guardavo la fitta vegetazione, le strade povere e polverose, le forze dell'ordine armate fino ai denti, la gente sparsa e rassegnata, le facce spesso segnate da cicatrici di coltello. Dopo nuvole di nebbia e di pensieri attraverso le montagne, ecco spuntare una valle di case lì in mezzo: San Cristóbal.

Leggevo poco prima di Marcos e i suoi Zapatistas nel Chiapas, di come il comandante uscì dalla giungla in sella alla sua moto per estendere il movimento negli altri stati messicani.
Una volta distolto lo sguardo dalla lettura ho realizzato di essere "sola" in sella alla camioneta, verso un'esperienza totalmente nuova e potente. Ho sentito una ventata d'aria al cuore, una grande forza creativa liberarsi da me. E ho iniziato a scrivere questo post sul mio taccuino, fra una curva e l'altra.

San Cristóbal de Las Casas, Chiapas

C'è di più delle lotte politiche e dell'estrema povertà a San Cristóbal. Ovvio, c'è la solita abitudine ai turisti e la continua richiesta di denaro in cambio di una foto, un braccialetto o una muñeca. Ci sono le croci (di fronte a ogni chiesa), gli sguardi affamati e orgogliosi, i taxi che una donna da sola è meglio non prenda di notte, il retaggio Zapatista fra magliette rosse in vendita nei negozi e un circolo culturale/ristorante, i discorsi di libertà al mercato delle donne di San Juan Chamula dove due uomini ben vestiti sono circondati da una folla di indígenas con le gonne nere e pelose (se di San Juan Chamula) o gli scialli viola con ricami di fiori (se di San Lorenzo Zinacantán, dove amano coltivare fiori soprattutto viola).




C'è soprattutto magia. Nell'aria, nella gente, in tutto ciò che qui si produce. Tutto è fatto con una religiosità estrema, nel bene e nel male. Dalla devozione alla superstizione, dalla fede alla diffidenza.
Potrei vivere qui molto più di qualche giorno come ho fatto: ci sono prodotti locali freschi e ristoranti vegetariani biologici, yoga e scienze di guarigione naturale, colori pastello e tanta, tanta energia in movimento.
Negozi di ambra (considerata dai locali amuleto di protezione per eccellenza e qui anche nella versione rossa, rarissima fuori dal Messico), caffè del Chiapas (uno dei migliori del mondo, anche se io non bevo caffè) e posherías (bar che vendono il pox, bevanda tipica del Chiapas, considerata alcolica ma non troppo... comunque non adatta ai minori né tantomeno alla sottoscritta!).


Calle Real de Guadaloupe
Mercato nei pressi del Templo de Santo Domingo
Cattedrale di San Cristóbal, Plaza 31 de Marzo

Magia, nei pueblitos di San Juan Chamula e San Lorenzo Zinacantán a una decina di chilometri da San Cristóbal, dove gli abitanti credono davvero che la macchina fotografica rubi l'anima: guai a uscire l'attrezzo (o lo smartphone) dentro la chiesa oppure tentare di riprendere dei volti, a meno che non si voglia essere assaliti, pagare una multa e avere sequestrato l'oggetto incriminato.
Non so quante volte avrei voluto fotografare certe situazioni e non ho potuto... Qualunque viaggio io abbia fatto, sono sempre stata più attirata dalle espressioni, dai dettagli che comunicavano qualcosa, da momenti che raccontavano una storia. Per quanto mi sia rimasta l'acquolina in bocca in questi paesini che ad ogni angolo offrivano ispirazione, mi sono accontentata di quanto "rapito" a San Cristóbal.






























San Lorenzo Zinacantán
San Juan Chamula





Dai ceri accesi di fronte a flotte di santi sugli altari fino ai rituali tanto vicini alla santería afro-cubana, l'atmosfera in quei pueblitos era intensa, l'aria densa e pesante.
Specchietti appesi alle statue dei santi per riflettere il malocchio, curander@s che guariscono con le erbe, riconoscono i mali toccando il polso (questo mi ricorda l'Ayurveda!), curano tramite le croci... Candele di ogni colore in base allo scopo, sputando pox intorno al malato per purificarlo dal mal ojo o dal suo stesso cattivo comportamento (qui ritengono che se ti ammali è perché ti sei comportato male, per esempio se ti sei fatto fotografare!), spolverando la sua aura con ciuffi di erbe o uova (che sembra assorbano la negatività) e, in casi estremi, spezzando il collo di una gallina, in modo che la malattia passi dalla persona all'animale che, lasciandoci le penne, se la porta via. Arrivato quel momento non me la sono sentita, sono uscita dalla chiesa di San Juan Chamula, dove si stavano tenendo almeno tre o quattro rituali contemporaneamente. (Per la cronaca, la gallina le penne ce le lascia davvero: pare che la iettatura e/o il malanno rimangano solo nelle piume, la carne è ok e viene dunque mangiata. Non si butta via niente.)

Di ritorno dai pueblitos, non posso che fare anch'io "magia". Quella dove non occorre altro che se stessi, corpo, mente e anima, a prescindere dalla religione: una classe di kundalini yoga persino qui, nel Chiapas.
E mi accorgo di come la mia anima sia lì, al suo posto, nessuno l'ha rubata. Non ancora.



martedì 12 novembre 2013

Un giorno, a Città del Messico...



Catedral Metropolitana (dettaglio), Zócalo

Una bandiera che sembra italiana ma non lo è, come dimostra l'aquila col serpente in bocca stampata su bianco, rosso e verde: i nomadi Aztechi, al vederla posarsi su un cactus, lo presero come un suggerimento divino per fermarsi e fondarvi una città.
Oggi, lì dove si pensa sia stata avvistata l'aquila, si intravedono le rovine del Templo Mayor e quello che era considerato dagli Aztechi il centro dell'Universo è ora "solo" un centro storico, la cui piazza principale con tutto ciò che contiene è conosciuta come Zócalo. Qui le rovine sono una minuscola rappresentanza dell'epoca pre-ispanica, rispetto alla mastodontica cattedrale e al Palacio Nacional (che prende un lato intero della piazza).
Gli Aztechi erano disposti a sacrificare vite umane per ingraziarsi gli dei e davano tanta importanza ai segni da far scegliere la propria casa a un'aquila. Gli Spagnoli vedevano nell'oro un segno molto concreto per sentirsi legittimati a cancellare una civiltà e instaurare la loro nuova casa (Nuova Spagna, all'epoca!) sulle macerie di quella altrui.
Nel bel mezzo della drammaticità di queste considerazioni, ammetto che c'è un'unica domanda che vorrei fare ed è rivolta all'artefice di una buona fetta di storia dell'umanità: aquila, ma come mai proprio su un cactus?

Templo Mayor, Zócalo

Sagrario Metropolitano, Zócalo

Pungente come un cactus mi è apparsa, Città del Messico. L'energia qui è feroce, la sua storia e la sua gente graffiano. Le passioni sono esagerate e trovano sfogo nella creatività, alla maniera di Frida Kalho e Diego Rivera.
Le mie sensazioni affiorano sotto un cielo grigio di nuvole e smog nell'arco di una singola giornata: troppo poco per giudicare. Ma in ogni angolo sono sicura di aver sentito una goliardia pesante, una volatilità sotterranea, un'allegria che nasconde molta solitudine. Siamo sicuri che è qui la fiesta?

Templo de San Francisco e Torre Latinoamericana
Casa de Azulejos, Centro Histórico



Ambulantes, flotte di gente per la strada e folle accalcate in metropolitana, suonatori di organino, danzantes aztecas, murales, edifici coloniali e arte contemporanea, musei per tutti i gusti, centros joyeros ad ogni angolo, squadroni di polizia, smog che punge gli occhi, la pietra vulcanica rossa di Calle Moneda, i più disparati stili architettonici spesso raggruppati in un solo monumento, il Parque de México e il Parque de España, l'art deco, gli edifici coloniali e i locali trendy del quartiere Condesa. Queste le mie (quasi) ventiquattro ore a Città del Messico: davvero poche.

Palacio de Bellas Artes, Alameda Central
Viaggiare da soli è molto meditativo e mi calza a pennello: cercarsi continuamente nella mappa e sempre ritrovarsi, per quanto in un contesto diverso ogni volta. Seguire una guida cartacea e imparare quello che la città ha da dire, ma poi ascoltare con il proprio cuore e ragionare con la propria testa, per carpire l'anima della città con occhi che non restano chini su un libro.

Certo, mi manca condividere tutto questo con il mio CV: oggi era seduto di fronte a me mentre mangiavo vegetariano in questo luogo di carne e sangue. La sedia, ovviamente, era vuota. Sono io abbastanza creativa da riuscire a visualizzare quello che amo e lui c'era, ologramma del compagno di viaggio.

Avenida Madero, vista dall'alto

Un coperchio di tè to go è stato molto chiaro in proposito con (E)stefania: è scritto bianco su bianco e dice solo traveler. Devo prenderlo come un segno? Chissà cosa ne direbbero gli Aztechi.
Aquile non ne ho viste quindi questa non sarà la mia casa, ma una cosa è certa: Città che sei del Messico, per un giorno sei stata anche mia.




domenica 10 novembre 2013

Amore, vado in Messico! E scrivo.

Crystal City, Arlington (vista da Roaches Run Waterfowl Sanctuary)


Alla fine è successo: la still life ha rivendicato la propria ragione sociale fra queste pagine, come da titolo del blog. Nell'ultima settimana sono rimaste molte parole in sospeso, non scritte ogni volta che mi sono venute in mente (e, credetemi, l'ispirazione mi prende ad ogni respiro!).

Eccole di nuovo però, le Still Words: in questo momento sono messe nel bagaglio che porterò con me ancora una volta oltre i confini di questi Uniti Stati... Messico, arrivo!
C'è il mio vecchio trolley azzurro cielo (l'anima), un marsupio che non si staccherà dal corpo (il cuore) e il pesante zaino sulle spalle (la mente). E tutto è come sempre prima di ogni mio viaggio: non sono affatto pronta a partire.

Domani ho l'aereo e fino a un attimo prima ho fatto quello che ho sempre fatto nella quotidianità: classi di yoga, passeggiate fra uno scatto fotografico e l'altro e fra Virginia e D.C., allenamenti e arti marziali, investimenti e sogni per il futuro.

Il risultato è che in questo momento sono nel bel mezzo del tutto in una volta:

- abbigliamento armadio quattro stagioni appallottolato in micro valigia: mi sposterò dal freddo di Città del Messico, attraverso le escursioni termiche del Chiapas, fino al caldo Yucatan. Trattasi di tutti i cenci possibili a mia disposizione, cosiddetto equipaggiamento "da guerra" nonché sedativo per mio marito che candidamente mi ha chiesto di imbruttirmi il più possibile per vagare lungo le strade messicane.

- Tutti i miei rimedi naturali e i probiotici in vista di possibile maledizione di Montezuma: dopo il Perù, non si rischia più! Ora so che finora, persino in India e in Africa, mi era andata bene quando invece il pericolo è sempre in agguato!

- Piano telefonico modificato per chiamare da lì il mio compagno di viaggio (solo compagno, questa volta, almeno in senso stretto) negli US.

- Lonely Planet Messico e materiale intellettuale messicano: Carlos Fuentes, "Aura" e Laura Esquivel, "Como agua para chocolate" i libri in valigia scelti per entrare nel mood.

- Spray al peperoncino: mio marito ha voluto regalarmelo per l'occasione, ma la compagnia aerea non consente di portarlo. Perciò restano solo le mie arti marziali.

- Pensierino autobus: ne dovrò prendere un tantino per spostarmi e non ho fatto neanche un biglietto in anticipo, visto che la ADO (Autobuses de Oriente) non permette di acquistarli online con carta di credito straniera (lo sapevate?). Sperare bene.

E tante altre cose, ma soprattutto una: "Amore, vado in Messico!".
Leggenda metropolitana vuole che il marito esca di casa per comprare le sigarette e chissà, forse estasiato da quella mistica esperienza di fumo, non faccia più ritorno al focolare.
In questo caso è la moglie a partire da sola, il marito la sostiene pienamente e nessuno dei due fuma.

Questa però è la prima volta che viaggio completamente da sola per fare un'esperienza del genere, lunga e avventurosa. Questa volta senza amici, senza riferimenti lì a destinazione, soprattutto senza il mio amato e preferito CV, Compagno di Viaggio.
Non so dire quanto io stia bene da sola: la solitudine è parte della mia forza, del mio modo per avere intuizione, conoscere il mondo e scoprire quanto siano belle le persone che lo abitano. Anche lo yoga lo insegna.
A distanza di una notte da questo viaggio, però, l'eccitazione e la curiosità hanno il gusto agrodolce del distacco dal CV. Da quello stesso uomo che mi ha spronato a fare questa esperienza e ogni singolo giorno mi abbraccia senza costringere le mie ali spiegate.

Realizzo di vivere ogni luogo del mondo come la nuova pagina di un libro, come una storia che vuole essere raccontata. Questo viaggio in particolare assume per me, piccola di fronte a una parte di me stessa che comincio appena a conoscere, dimensioni gigantesche. E non per i pericoli che (ancora) la maggior parte delle persone continuano a ripetermi ci sono in Messico per una donna che va da sola. Più perché potrei scoprire di non avere davvero più bisogno della mia solitudine per sognare il mio futuro, di potere davvero espandere le mie possibilità e raggiungere ogni persona per comunicare e dare, dare, dare. In una parola, nel mio dizionario: scrivere.
Perché se sarà chi mi lascia volare a dirmi di crederci, io gli crederò. E non sarà mai troppo tardi.

Hold fast for dreams for if dreams die, life is a broken winged bird that cannot fly - Langston Hughes