giovedì 31 ottobre 2013

Italians in DC: quando Halloween non fa paura


Alice dal paese delle meraviglie è venuta a farsi un giro ad Old Town, Alexandria. Correva sul marciapiede e si è bloccata per fissarmi a bocca aperta rapita, immagino, dal mio cappottino verde mela. Insieme a lei: folletti, mostriciattoli, fantasmi, scheletri, e una miriade di altre maschere che non superano il metro d'altezza scorrazzano lungo le stradine ciottolate della mia città americana.

Halloween è arancione, come le zucche e le foglie sugli alberi. A casa mia mancano sia i dolcetti che gli scherzetti: nel caso qualche bimbo dovesse bussare alla porta stasera, sarei a rischio di precoci insulti nel mio tentativo di distribuire semi di chia, zenzero e frutta secca per assicurare ai bimbi americani una migliore nutrizione.





Da un po' di anni ormai a me Halloween non fa paura. Sono italiana, le nostre tradizioni sono un po' diverse, però defunti e biscotti che riproducono ossa di morti e dita di streghe sono parte anche del nostro divertimento. Certo, da brava siciliana, mi manca molto la frutta martorana.
La nostalgia però si è fatta un po' meno canaglia in questi giorni negli Stati Uniti, grazie anche a nuove conoscenze e ad un grazioso happy hour a cui io e il mio compagno di viaggio abbiamo partecipato, scoprendo con grande piacere che ci sono davvero altri Italians in DC!

Ho scoperto (non so davvero come sia potuto passare un intero anno!) questa community di persone che non solo sono italiane e riescono a mettere insieme ad un solo evento la popolazione nazionale qui emigrata, ma promuovono anche la cultura italiana nell'area.
Non so che idea abbiate voi di come l'Italia venga percepita qui negli States, ma solitamente è tutto un anni '50, Dolce Vita, Vespe Piaggio, pizza (non sempre fedele all'originale!) e tante altre (più o meno belle) cose nostre. Ci piace, per carità, ma ogni tanto ho l'impressione che il mio bel Paese qui in America sia anch'esso una maschera di Halloween.
Potrei chiamarla deformazione (perfetta ad Halloween!) professionale, ma la comunicazione anche in questo caso è fondamentale: condividere le proprie esperienze in terra straniera con persone che parlano la tua stessa lingua (e non parlo di fonetica) è importante per chi vive lontano dalla propria casa, dalla famiglia, dagli amici di sempre. Altrettanto significativo è riuscire ad essere in contatto con persone del luogo e dare un'immagine fedele del proprio Paese.

Io e mio marito amiamo vivere l'esperienza del viaggio, della scoperta, della cultura straniera: durante quest'anno qui negli States ci siamo completamente immersi fin sopra la testa, interagendo con gli americani, parlando la lingua, esplorando i luoghi e la cultura. Ci piace.
Forse proprio per questo apprezziamo ciò che è diverso e ciò che è familiare con uguale interesse e apertura.

Le ombre si allungano, la notte si avvicina: stasera si mangia zucca (mica l'abbiamo sventrata e scolpita per nulla!) e almeno due persone, in terra straniera, si sentono a casa.





domenica 27 ottobre 2013

Luoghi del cuore

Buongiorno (sul Perù)


A due giorni di rientro dal Perù, ancora due bucati to go, mi ritrovo a impiegare un'intera giornata per partecipare a un workshop: questa la vita delle menti neutrali in viaggio! Non si finisce mai di esplorare.

Questa volta ho rispolverato le tecniche di guarigione naturale, in particolare il reiki.
Ricordo quando, tanti anni fa, dissi a un ex fidanzato che avrei voluto provare questa esperienza e lui storse il naso (per usare un eufemismo). Iniziai allora a praticare yoga (e anche in quella occasione, lui arricciò le sopracciglia).
Inutile dire che quella storia è finita (e non solo con la scusa delle libertà spirituali che mi sono presa!) e oggi mi ritrovo grata a seguire ciò che più rende la mia anima felice, ciò che ha sempre fatto parte di me e chiunque mi conosca legge sul mio volto. Mio marito compreso.

Ho iniziato a vivere quando ho iniziato a viaggiare. Ero ferma, cristallizzata nella mia gabbia dorata, sempre molto luminosa come una bambina, ma fredda dentro, perché senza esperienza.
Ho viaggiato: ho visto, annusato, toccato, ascoltato, gustato. Ho scoperto quanto alla mia anima piaccia vivere su questo pianeta. Come ho scritto qualche settimana fa su Facebook:

Appena finito di vedere al cinema il film Gravity: mi sento così grata per essere su questo meraviglioso pianeta... Il film è bellissimo, un'esperienza completa di vita, morte, paure, coraggio, preghiera e vita di nuovo. Vivere su questa Terra è un privilegio e un dono, lo riconosco con l'anima e lo rifarei, anche scendendo di nuovo dalle stelle.

Anche un film al cinema ci può ricordare chi siamo. E quanto siamo fortunati ad essere qui, ad avere questi sensi per fare la nostra esperienza.

Di tutti i luoghi che ho visitato, le culture e le lingue in cui mi sono immersa con gioia e curiosità, c'è sempre il mio posto preferito: il cuore.
Da lì colgo i colori e le prospettive e lì sono sempre tornata ogni volta che mi sono sentita smarrita, pressata dai tempi, dai traslochi, le valigie da disfare, le perdite, le frustrazioni di fronte a una comunicazione povera e mal riuscita (in quanto poco neutrale, ovviamente!).

La relazione principale è quella con se stessi.

Auguro a tutti di viaggiare verso l'unico luogo che conta: non serve andare in capo al mondo, basta avere un cuore che batte in petto. E sentirne la fragranza.

giovedì 24 ottobre 2013

Arrivederci, chicha morada!




Machu Picchu

Sono tornata dal viaggio più difficile che abbia mai fatto. Mio marito, tornati a casa dopo due settimane di Perù, ha detto sornione: "adesso ci vorrebbe una vacanza per rilassarci!".
Non ha tutti i torti. Fra le prove a cui ci siamo sottoposti: mal di montagna, scalate mozzafiato, indigestioni, folli corse in autobus a ridosso di precipizi, terremoti, punture d'insetto, notti insonni, ostelli poco confortevoli, traversate per mare e per aria, e tante altre scene alla Indiana Jones.
Eppure, nonostante lo stress e i relativi due chili in meno riportati a casa, la magia del Perù resta. La poderosa energia di Machu Picchu immersa nelle nuvole, i movimenti delicati di chi mi ha letto il futuro nelle foglie di coca, gli occhi delle bimbe andine e dei cuccioli di alpaca, l'intensità del cibo, il contatto immediato con altri viaggiatori, la musica della natura e delle canzoni popolari, le parole nei romanzi di Mario Vargas Llosa, gli "hasta luego!" e i "suerte!" scambiati con chiunque, le immense ali dei condor, il candore della Cordigliera al chiaro di luna, i tramonti sul lago Titicaca...

Machu Picchu

 






Questo post rischia di essere un susseguirsi di parole e virgole, un elenco di immagini e ricordi. Oppure un muro del pianto: lo scrivo mentre ho i nervi a fior di pelle, sulle spalle la stanchezza accumulata nel corso di quella che non è stata esattamente una vacanza e in testa lo stress al pensiero di tutti gli imminenti impegni a stelle e strisce.
Non vedevo l'ora di tornare nel comfort americano, nella townhouse con il mio letto, dove posso gestire io la pulizia e l'ordine. Eppure anche la casa dolce casa al momento ha un lato oscuro: chili di roba da lavare, ovviamente. E un'accoglienza poco gentile da parte di una persona frustrata alla dogana che ci ha fatto sentire tutta l'inospitalità di cui gli States possono essere capaci, quando vogliono. E no, non portavamo foglie di coca dal Perù. Quella del distinto signore in divisa era acidità del tutto gratuita, in totale contrasto con la locandina alle sue spalle che recitava "il nostro personale farà di tutto per mettervi a vostro agio".
Nostalgia d'Italia? Non so. Per ora quello che mi viene in mente (e al palato) è la chicha morada, drink ufficiale del Perù insieme al pisco sour.
Cusco, Perù


La chicha era una bevanda a base di mais cara agli Incas (da loro considerata sacra tanto quanto le foglie di coca, tuttora masticate come tabacco dalla popolazione quechua): è leggermente alcolica e tendente al giallo, come il colore del mais che viene fatto fermentare. La chicha morada acquista il caratteristico colore scuro perché la base è invece un'altra tipologia di mais, di colore violaceo, bollito in acqua con spezie e frutta. Il risultato è una bevanda molto zuccherata, scura come il vino eppure analcolica.
Ancora ubriaca (senza alcol) di questo viaggio, smarrita davanti alle contraddizioni del villaggio USA e agli impegni da onorare, mi sembra di ribollire e fermentare come una chicha. Mi manca chiarezza (evidente da come scrivo, alle due di notte).
So però che lo stress è passeggero, mentre chi guida sono io: mi do un paio di giorni e poi torno alla neutralità, dolce senza bisogno di zucchero.

Chicha morada
Mazamora morada, dolce di mais viola



martedì 22 ottobre 2013

Yoga d'aria


Isla del Sol, Lago Titicaca (Bolivia)


Sul lago Titicaca ho condiviso con parecchie persone un'esperienza difficile da dimenticare: il mal di montagna.
Per i primi giorni a quattromila metri non c'è scampo: l'aria più rarefatta provoca palpitazioni, affanno, mal di testa, vertigini, nausea, mancanza d'appetito, insonnia... Ogni persona è diversa dunque i sintomi possono variare, ma la disperazione è comune a tutti.


La tragedia mi ha ispirato. Mentre cercavo di non svenire a ogni passo in salita, di ritrovare il piacere del viaggio e il respiro nella meditazione quotidiana (sempre più in affanno), ho realizzato come il mal di montagna non sia poi così lontano dalla quotidianità che mette altrettanto alla prova al livello del mare.
Stress, ansia, vertigini, digestione difficile, fobie, separazioni, scadenze, attacchi di panico... Sono circostanze comuni a molte persone e la sensazione predominante è quella di soffocare, sentirsi in trappola, senza vie d'uscita. Da cui spesso l'espressione: "mi manca l'aria!".

Plaza de Armas, Puno
A me è mancata l'aria in questo viaggio fra Perù e Bolivia: ansimando tra una discesa e una salita, ho messo insieme tutte le informazioni a mia disposizione, dai consigli dei locali e di altri viaggiatori fino ad alcune tecniche di yoga.
Ne è scaturito un tragicomico decalogo per sopravvivere al mal di montagna, ma anche a chiunque ci tolga il fiato (noi stessi il più delle volte!).

Qualunque sia la circostanza in cui ci manca l'aria, ecco dunque il decalogo per riprendere fiato:


1. LLP.

Non è un disco musicale, bensì l'acronimo di una delle tecniche di yoga più efficaci: il respiro Lungo, Lento e Profondo.
In caso di emergenza è la prima cosa che calma la mente, rallenta il battito cardiaco ed espande i polmoni, facendo in modo che una maggiore quantità di ossigeno raggiunga il cervello.
Si può anche trattenere il respiro nei polmoni per qualche secondo, purché non affatichi.


2. SIESTA.

Per quanto riposare possa sembrare scontato, non sempre siamo capaci di rilassarci davvero, correndo fra un impegno e l'altro o prefiggendoci continuamente nuovi obiettivi.
Lottare con circostanze inaspettate procura solo altro stress: meglio attendere con pazienza che il peggio passi, senza contorcersi, maledire il prossimo o sentirci sventurati. Le statistiche dimostrano che, facendo altrimenti, la situazione peggiora.
Quando il peggio arriva, invece, guardarlo negli occhi senza fare nulla (magari distesi, con una bella tisana calda e rilassante in mano!) ci rende più osservatori e meno vittime.


3. FOCUS.

Appendice al punto precedente, specifica per quelli che "non posso fermarmi, ho un'agenda fitta io!", ovvero non sanno come fare a non fare nulla.
In viaggio mi sono resa conto che per qualcuno riposare è un lusso che non ci si concede tanto facilmente.
Se proprio non si può venire meno a qualche appuntamento oppure non si riesce a rinunciare a fare qualcosa nonostante i ritmi ci stiano pressando, il suggerimento è: focalizzarsi su una sola cosa alla volta.
Tenendo il cervello impegnato su un dato soltanto, si spera di evitare l'overdose.


4. CALMA.

Il cuore pompa più in fretta per portare l'ossigeno che manca al cervello, da cui l'affanno ogni volta che si incontra una salita (nella vita, tanto quanto nei sentieri di montagna).
Tecniche di visualizzazione si sono rivelate molto efficaci, associate al respiro profondo, per calmarsi in caso di panico. Si può visualizzare un lago per esempio (il Titicaca mi è servito!) le cui acque sono placide e cristalline.

Isole Uros, Lago Titicaca


5. VADE RETRO.

Rallentare i movimenti fisici al punto tale da andare in retromarcia. Un passo dietro l'altro, un battito del cuore dopo l'altro, un pensiero alla volta, e così via.
Se proprio dobbiamo muoverci, danziamo soavemente con il corpo, accompagnandolo con dolcezza attraverso le tensioni, lo stress, il panico e quant'altro.

Isla de la Luna e Cordigliera delle Ande (viste dalla Isla del Sol)

6. GUARDA CHE LUNA.

Distrarsi dalla tragedia in corso: più si pensa che manca l'aria, continuandola a cercare fuori dove non sempre c'è, meno la si trova dentro di sé.
Ci sono cose interessanti davanti ai nostri nasi, nonostante le vediamo doppie per le vertigini o non le vediamo affatto perché accecati dallo stress.


7. ALLA SALUTE!

L'alimentazione è fondamentale per tenere lo stress sotto controllo: ci sarebbe un intero libro da scrivere a tal proposito. Qui ci limitiamo a qualche dritta in caso di mal di montagna o simili.

Mangiare spesso ma leggero, innanzi tutto, per non appesantire il corpo con una digestione difficile da gestire. Se si parte per i quattromila metri oggi, cominciare già qualche giorno prima a stabilire una dieta leggera.

Quando manca l'aria i cereali sono da preferire, perché i carboidrati apportano ossigeno. Mangiare un pezzo di pane o di cracker inoltre allevia la nausea.

Erbe: il gingko contro la stanchezza fisica e mentale e lo zenzero per lo stomaco. Camomilla e valeriana sono molto rilassanti.
In Perù io mi sono imbottita di infusi di muña, un'erba simile alla menta per sapore e proprietà digestive, e di foglie di coca. Ebbene sì, la coca. Ovviamente, presa in piccole dosi non è una droga ma solo un leggero stimolante, alla stregua di caffè o tè: in Perù e Bolivia è il rimedio (legale) più consigliato contro il mal di montagna.

Infuso di foglie di coca
A monte di tutto, infine, il rimedio più naturale ed efficace: bere tantissima acqua! Fluidifica il sangue, migliora la circolazione e ci purifica.

Lago Titicaca


8. PPP.

Non è il pianissimo sullo spartito musicale, bensì i tre presto: cenare presto, andare a letto presto, svegliarsi presto.
I ritmi giusti sono importanti per passare da allegri ma non troppo ad andanti maestosi.


9. AHI, DORMIRE!

La notte e il risveglio potrebbero essere i momenti peggiori quando manca l'aria: il mal di testa è più forte perché da distesi il cuore fa arrivare più rapidamente il sangue al cervello. La conseguenza immediata è la bestia nera: l'insonnia.
La tecnica al punto uno, LLP, è perfetta: praticata prima di dormire concilia il sonno e calma il mal di testa del risveglio.
Respirare solo dalla narice sinistra calma, rilassa e rinfresca.
Dormire sul fianco destro stimola la respirazione dalla narice sinistra e dunque il sonno.
Se il mal di testa è molto forte, si può provare a dormire in posizione semi verticale con un cuscino dietro la schiena.

Copacabana, Bolivia
10. COMUNICAZIONE NEUTRALE.

Dulcis in fundo, non poteva mancare. Se a rovinare la respirazione non è la montagna ma un fidanzato, parente, capoufficio, o altro essere umano "vampiro" che ci toglie il fiato: comunicare.
Dire chiaramente con poche, semplici e gentili parole come ci fa sentire.
Se persiste, augurargli buon viaggio ma su un'altra barca, perché insieme sulla stessa si rischia di ribaltarsi e affogare nel bel mezzo di quell'oceano che è la vita.



Lago Titicaca
Ciascuno di noi è in viaggio e, durante il percorso, non sempre le cose vanno come ce le aspettavamo. Frustrazione e senso di impotenza di fronte a ciò che ci sembra incontrollabile sono lo stato di normalità per ogni essere umano. Stress, attacchi di panico, relazioni soffocanti, blocchi oppure ostacoli lungo l'itinerario che tanto appassionatamente avevamo pianificato, sono parte dell'esperienza.


L'altitudine di per sé non è un male. Anzi, come in questo blog è più volte ripetuto, è con una visione di noi stessi dall'alto che riusciamo a vedere bene tutto ciò che ci riguarda e la nostra posizione nel mondo (ricordate l'ooh aah point?).
È perfettamente normale che da quell'altezza, vedendo quello che prima non vedevamo di noi stessi, arrivino un po' di vertigini: il corpo manifesta i blocchi che sono nella mente, ammalandosi o andando fuori dal nostro controllo. Questo è un bene, perché possiamo lavorare sulla nostra mente e guarire il corpo di conseguenza.


Meditando ogni giorno con il mal di montagna, quando il corpo sembrava non potere reggere, ho sperimentato questa trasformazione.

Dopo un po' l'aria non manca più, anzi: una volta che ci si adatta alla nuova altitudine si è in grado di respirare l'aria di montagna, più pulita e leggera, rinfrescando la mente. E si torna a godere appieno, anche meglio di prima, del viaggio.

martedì 15 ottobre 2013

Espandere la mente (e la pancia) in Perù



Mi rivolgo a tutti i buongustai, quegli adorabili goderecci esseri umani che hanno una passione per il cibo e la vita: il Perù è una delle pagine migliori su cui la mente possa scrivere ricercando neutralità.
I paesi più poveri e quelli dove la natura predomina sono solitamente i più stimolanti. Non si può che accettare tutto ciò che ci indigna, ci mette alla prova, ci turba, e da lì fare il passo successivo (mettendo in conto che potrebbe essere ancora in salita).

Ho vomitato sulle sacre linee di Nazca, sentendo la gravità sul corpo ad ogni inclinazione che il minuscolo aeroplano faceva per mettersi verticale.
Ho pianto ad Arequipa davanti la mummia di Juanita (soprannome di una dei bimbi tra gli otto e i dodici anni che gli Inca hanno accuratamente scelto sin dal primo anno di età tra i più sani e belli del villaggio, per sacrificarli e sedare l'ira degli dei, ovvero i vulcani attivi).
Ho tenuto in braccio un cucciolo di alpaca, spaventato e sudato, ho sentito che avrei voluto proteggerlo per sempre fra le mie braccia ma poi l'ho lasciato andare, ricordando il dolore della separazione da coloro che amiamo e vorremmo restassero sempre con noi.


Colibrì, Linee di Nazca
Ho preso autobus pubblici in mezzo a pulcini e galline, odori vari tra cui brodo di pollo, coloratissime signore coi vestiti tradizionali, contadini che salgono e scendono da un pueblito all'altro, cercando di restare lucida e dritta fra una curva e l'altra.
Mi sono fatta un paio di terremoti sulle Ande a Cabanaconde, indifferenti il canyon del Colca sotto i piedi e i condor sopra la testa.


Cruz del Condor, Colca Canyon
Ho fotografato la povertà della gente sentendomi ridicola con il mio iPad nello zaino e la mia stanchezza, di fronte alle donne che portano la legna sulle spalle e probabilmente nemmeno hanno una parola in quechua per dire "stress".
Ho apprezzato il valore di ogni goccia d'aria, rallentato i movimenti e i pensieri e parlato al mio povero cuoricino (e quello di mio marito) che batteva più forte per portare ossigeno al cervello sul lago Titicaca, a quattromila metri d'altitudine.




Che si può fare se non arrendersi? Cos'altro, se non guardarsi e realizzare che stiamo in una mano ed è tutto lì? Che i tempi, le lingue, le superstizioni, i pianeti, le persone cambiano eppure la mano che ci tiene sul palmo è la stessa per tutti?
Perciò, alla luce di "io sono gli altri, gli altri sono me", anche questa volta, anche in questo luogo straniero, mi sono calata nella storia. Non come un personaggio farebbe, più come uno scrittore. Come chi insomma vive tutte le emozioni ma poi deve osservarle se vuole raccontarle con neutralità a se stesso e poi condividerle con gli altri.




Uno dei modi che ho trovato per sentire il Perù (e, ci tengo a specificare, non è l'unico modo ma sicuramente uno dei più piacevoli), è stato attraverso il cibo.
Ho mangiato, mangiato, mangiato. Sempre vegetariano e consapevole, ma ho goduto di ogni piccolo boccone in questa terra di avocado perfetti (non esagero), frutta meravigliosa, quinoa che te la tirano dietro.

In molti casi ho visto moltissimo della mia Sicilia, almeno i miei occhi di isolana e figlia del Sud hanno voluto vederlo.
Arequipa per esempio è la versione peruviana di Catania. Pietra vulcanica (sillar, la chiamano), chiese e conventi, una via principale che, come via Etnea, arriva alla piazza del Duomo (qui Plaza de Armas), un vulcano che sovrasta la città (il Misti, in questo caso), meravigliosi prodotti tipici: il queso helado (gelato fior di latte), i polvorones (biscotti che fanno solo le suore del monastero di Santa Caterina e si sciolgono come farina in bocca), gli alfajores de papaya (biscotti di mais ripieni di marmellata di papaya), il solterito de queso (un'insalata moderatamente piccante di mais, fave, olive e formaggio), la birra arequipeña (che fa concorrenza alla cuzcueña).

Plaza de Armas, Arequipa

Monasterio de Santa Catalina, Arequipa

Tutto il Perù si esprime in cucina con allegria e colore. I dolci sono dolcissimi ma semplici: pastel de choclo (torta di mais), suspiro limeña (blanco manjar, cioè caramello, ricoperto da meringa), dulce de leche, delicia andina a base di quinoa, latte e sauco (bacche delle Ande), cioccolato che viene dalle fave di cacao dell'Amazzonia.
I vegetariani possono assolutamente sopravvivere in questo paese di cuy (porcellino d'India) e ceviche (pesce marinato): patate in tutte le salse (papas a la huancaína e causas tra le mie preferite), sopas e creme di quinoa o verdure, tacu tacu (piatto di fagioli e riso fritti), choclo con queso (mais bollito e formaggio).
Su tutto, il fresco Pisco sour, un cocktail di liquore Pisco e bitter di Angostura, lime, sciroppo, chiara d'uovo, ghiaccio (a volte). Da provare forse prima di conoscere gli ingredienti, ma buonissimo.


Pisco sour
Zuppa di quinoa

Direi che ho gustato, assimilato, digerito il Perù. Accompagnata dal volto del mio compagno di viaggio, la gentilezza e disponibilità estrema delle persone del posto (a cui ho fatto ventimila domande e loro hanno risposto a tutte e aggiunto anche di più, perché sono così, gli piace dare tanto quanto ricevere), la musica peruviana fatta di fischi, chitarre e tanto amore per la vita, il proprio paese, le donne e gli uomini.

Prossime tappe: isole Uros da Puno, varcare il confine verso la boliviana Isla del Sol e poi Cuzco. In viaggio come vuole Dio: un cammino costante tra le sfide, arrampicandosi per elevarsi oltre i propri limiti (straordinariamente più mentali che fisici), riprendendo fiato in un respiro consapevole, con accettazione, amore verso se stessi e gratitudine per il posto che ci è dato nel mondo. E per qualunque altro mai ci trovassimo ad occupare. Altrimenti che mente neutra in viaggio sarebbe?



giovedì 10 ottobre 2013

Oltre la nebbia

Dall'aereo, sul cielo del Perù 


Si, la scrittura è il mio pane quotidiano, ma non sono qui come periodista! Rispondo a un signore che mi regala un gran sorriso quasi senza denti, la pelle caffè e gli occhi color cielo (quello azzurro, non quello grigio di Lima): io ho i miei soliti taccuino e penna in mano, mio marito la macchina fotografica con uno zoom da fare invidia a un paparazzo. Spiego al signore che siamo solo turisti e non possiamo pubblicare la sua testimonianza contro i "malditos del gubierno" a cui vorrebbe dirne quattro. Lui abbassa la testa ma mantiene il sorriso e se ne va dando le spalle al palazzo del governo in Plaza de Armas.


Plaza de Armas

Poco tempo per visitare la capital, avvolta nel grigio smog (la garúa, la fitta nebbia bianca che di solito copre Lima, sarebbe stata molto più fitta: pare che a ottobre si sia ormai dissolta).
Palazzi decadenti, manifestazioni per la riforma costituzionale, alla radio un programma sul "nuevo rostro de un Perú que avanza".
Cucina limeña, tra causas vegetariane, yuccas fritte e ceviche (pesce per mio marito), fosforescente inca kola che sa di sciroppo e ricca cerveza cusqueña.

Causa vegetariana
Yucca fritta e cerveza cusqueña
Solo il tempo di un respiro (yogico), trattenuto per tutta la camminata sul puente de los suspiros nel quartiere Barranco come vuole la tradizione, e di una canzone di Chabuca Granda. Poi l'autobus per Paracas, il primo di una lunga serie, per vedere le Islas Ballestas: i pinguini ci sono davvero, insieme a leoni marini, delfini, cormorani, meduse giganti e macchie arancioni (noi turisti inviluppati nei giubbotti di salvataggio sulle barche).
In viaggio per terra, per mare e per aria: abbiamo preso un altro autobus per Nazca e domani si vola sulle misteriose linee. A modo nostro, turisti sì ma non troppo, imprimiamo questo Perù negli occhi, ingoiandone magia e realtà.

Islas Ballestas

Non sono una giornalista peruviana, al massimo una a cui piace assaggiare, esplorare e scegliere le parole curando la punteggiatura. Però scriverei volentieri di questi volti abbrustoliti, di questa gente sorridente e piena di musica nel cuore e nelle cellule. Di questo popolo contento e scontento, di questa Lima pressata dalla nebbia, i politicanti, le dominazioni, la corruzione, la povertà.
Lima ha un nuovo volto, dice la radio. Il tassista della nuova generazione sorride e ci chiede quanti siamo in Italia e quanto è grande la Città del Vaticano.
Cambiano gli ingredienti, il clima, il fuso, i colori. Ma le parole attraversano la nebbia, tanto quanto i sorrisi.



domenica 6 ottobre 2013

A ciascuno il sud

Acitrezza, Sicilia




El héroe discreto di Mario Vargas Llosa è nello zaino, il segnalibro già al settimo capitolo. A parte il romanzo in lingua (e cultura peruviana) originale, l'iPad e la Lonely Planet, però, non ho ancora pensato a cosa mettere in valigia.
Per Lima si parte dopodomani e saranno due settimane di autobus e scarpinate, dal livello del mare fin giù al canyon più profondo del mondo e su fino ai quattromila metri di Puno: non più di una notte nella stessa città. Ce la faranno anche stavolta i nostri (discreti) eroi ad esplorare tutto ma proprio tutto quello che vorrebbero?

Ci lasciamo alle spalle l'America del furlough, del presidente democratico e la House repubblicana, delle persone che ci raccontano di essere stanche di stare a casa nell'attesa di poter tornare a lavoro, quando il governo comunicherà che lo shutdown è finito. L'America del blame game e dei gun show, ma anche dei party multietnici dove ti ritrovi (felice) a parlare inglese da un lato, spagnolo dall'altro, francese ogni tanto e italiano quanto basta (perché, ebbene sì, ci sono due o tre illuminati che vogliono parlare la nostra lingua).

Guardiamo sotto l'ombelico, ora, l'altra America, quella latina quindi a noi più vicina, quella del sud (ovunque nel mondo eletto a punto cardinale sfigato fra i quattro). L'America del Perù, in particolare, dove furlough non ce ne sono: e come potrebbero esserci? C'è un governo stabile e un'economia in crescita solo da qualche anno. E, ciò nonostante, se le persone non hanno un lavoro non è perché sono temporaneamente a casa in attesa di tornare a prendere i loro settemila dollari al mese: non ce l'hanno e basta, il lavoro.

Qual è il nostro sud?

Facile per me pensare alla mia terra, alla Sicilia, fatta di profumi, colori e passioni intensi, tanto quanto di disoccupazione, pizzo, instabilità. Fertile e arida al tempo stesso.
Ciascuno di noi ha un sud, un cardinale rosso fuoco che diverte e consuma, un luogo al di sotto dell'equatore che determina latitudine e longitudine senza bussola.
Quel luogo interiore dove emozioni, paure, rabbia, insicurezze e impulsi si condensano.
Quel trampolino utilissimo per spingerci in alto ma che, se incontrollato, ci fa tuffare di pancia e magari anche in una piscina senz'acqua.
Indispensabile, quel sud. Ci fa innamorare, appassionare, piangere e ridere. E chi può farne a meno? E' nel sangue, nelle viscere, nell'istinto.
Ha però bisogno di cure, di un governo stabile, di un lavoro sicuro e costante. E per tutto questo c'è bisogno di una mente neutrale, trasparente, consapevole e lungimirante.

Mi preparo dunque a questo viaggio verso sud, alle nuove profondità e altitudini da cui osservare me stessa e il mondo, per comunicare dopo avere guardato con attenzione, partendo proprio da sotto l'equatore.
Non so ancora quali vestiti mettere in valigia, ma so quali parole portare e quanto spazio lasciare per riportarne indietro di nuove.

mercoledì 2 ottobre 2013

Contatto




Ed eccomi qui a disintegrare definitivamente il guscio.

Still Words adesso ha un suo indirizzo.it ed è su Facebook, Twitter, Pinterest, Google+... Mi sono improvvisata webmaster: ho scritto stringhe di numeri, lettere, virgolette, trattini, senza sapere quello che facevo ma usando l'intelligenza; ho impostato le diciture corrette alle voci "host" e "CName" per il cambio di dominio (è ostrogoto anche per voi quanto lo è per me?); ho sofferto nel vedere che il sito per un po' non compariva online finché, come per magia (ok, niente magia quando ci sono sotto codici binari!), un bel giorno si è materializzato di nuovo nella finestra del mio browser.

Soprattutto, ho iniziato in prima persona a fare capolino nei social network che (ad eccezione di Facebook) finora sono stati per me mondi sconosciuti. Di sicuro sono io sconosciuta a loro.
Questa cosa dei followers, del pubblico, dei lettori... mi ha sempre un po' inibito e non solo per via della mia timidezza all'idea che qualcuno davvero legga: sono stata una grande snob per molto tempo, pensando che il mondo dei blog fosse solo una vetrina per mettersi in mostra, desiderando aumentare la propria popolarità per trovare lavoro o successo personale, senza essere particolarmente interessati a comunicare davvero con gli altri.
Ispirata da blogger che stimo, però, e si trovano su quasi ogni social network senza per questo essere superficiali o del tutto presi da se stessi, ho abbracciato la socializzazione online come fenomeno umano.
Adesso sono io la prima a rendersi conto che ci vuole qualcuno che legga quello che scrivo, altrimenti che senso avrebbe la comunicazione senza un feedback? In quel caso, non si parlerebbe neppure di comunicazione. Parlare da soli, scrivere e lasciare le pagine nascoste in un cassetto, non ha alcun senso: tanto vale stare in silenzio e ascoltare.
Perciò stavolta posso dire di avere accolto davvero tutti i modi che conosco e che ho qui, in questa lontana America, per sporgermi e toccare le persone (anche fosse solo la punta delle dita).
Con un'ispirazione di fondo: Aristotele diceva che l'uomo è un animale sociale, d'accordo. Ma il blogger (come chiunque altro comunichi con le parole) deve essere più di quello, deve essere umano: esprimersi con onestà e con l'intenzione di creare molto più di una società, ovvero una connessione reale frutto di una comunicazione neutrale.

Questo vado a pensare, socializzando anche fuori dal web: un dopocena a casa di una coppia British chiacchierando di Perù e altri viaggi imminenti e di cosa voglia dire far nascere e crescere un bambino (vegetariano) in un paese straniero. Una cioccolata calda d'arrivederci con un'amica che si trasferisce definitivamente e riduce il numero delle persone con cui ho legato più intimamente qui negli US a... due. Una visita ad una conterranea (cioè siciliana) neo-mamma e la sua tenerissima bimba, anche loro per destino temporaneamente americane, parlando di strutture sanitarie che funzionano ma dottori-robot che ti considerano un numero. Un bigliettino affettuoso dal Canada, da parte di una ragazza conosciuta lì durante un corso di yoga, per ricordarmi che le persone con cui c'è stato uno scambio autentico rimangono. Parole e abbracci proiettati oltreoceano, dove una cara amica (nonché consanguinea) con cui sono cresciuta e ho condiviso i travagli e le gioie della vita ha appena dato alla luce, esattamente con lo stesso dolore e immensa gioia, una bellissima bambina.
Connessioni, condivisioni, contentezza, ed ecco che affiora davanti ai miei occhi il bello dell'essere social: non avere confini. A prescindere dal grado di conoscenza e intimità, si può davvero entrare in contatto con le persone, quando si è se stessi.

In questi giorni di iperattività, la neutralità è stata messa a dura prova: la meditazione quotidiana, tanto per cominciare, è risultata più difficile. E la comunicazione con me stessa (e mio marito, il più vicino a me... dopo di me!) è stata frettolosa.
A volte è difficile fermarsi e semplicemente non fare nulla. Ma è così che funzionano quelle still words: si corre e anche velocissimo, ma si è abbastanza quieti dentro per vedere che stiamo correndo e per raccontarcelo onestamente, in modo da comunicare altrettanto in modo trasparente con gli altri.

Ho corso e mi è anche piaciuto. Dalla mia postazione, ora, fra notebook, iPad, iPhone, agenda, to do list ma anche appunti che ti ricordano le persone e un bigliettino d'amore da parte di mio marito... un bel respiro, e avanti tutta con neutralità.