mercoledì 31 luglio 2013

Il vero potere delle parole




"I am determined to speak truthfully, with words that inspire self-confidence, joy and hope." - Thich Nhat Hanh


Questo fine luglio sfuma nei ritmi veloci delle attività del rientro, dopo le giornate trascorse nell'immensa natura americana.
I primi due giorni a casa mi svegliavo al mattino e mi chiedevo: oggi che si fa dopo la meditazione? Guardiamo un po' la Lonely Planet e organizziamoci in modo da vedere il più possibile, entro il poco tempo che abbiamo a disposizione, prima di tornare on the road verso la prossima tappa... Soltanto dopo un po' mi rendevo conto di dov'ero (e del fatto che mio marito era già via, in ufficio da ore).
Bello viaggiare, bello tornare. Dopo due settimane fuori mi manca l'avventura, quella sensazione di non sapere quello che ci aspetta, di esplorare posti nuovi. Poi realizzo che, dopotutto, vivo negli Stati Uniti: sono comunque straniera.

Le riflessioni di oggi partono dal calendario: luglio sta finendo e si fa i conti con il mese che è passato. Ho scelto il mio calendario (ben visibile in cucina) con cura: dodici mesi per dodici citazioni di Thich Nhat Hanh. Molto, molto ispirante. Peccato che ogni tanto quei famosi ritmi quotidiani siano così rapidi che non hai il tempo per fermarti qualche minuto a meditare su frasi tanto pregne di significato.

A Luglio Thich Nhat Hanh (che, per inciso, è un monaco buddista, scrittore e attivista per la pace, oltre ad essere una guida spirituale e una fonte di ispirazione non solo per la sottoscritta) mi regala una frase che probabilmente dovrei recitare come un mantra ogni giorno.
La propongo quindi anche a tutti coloro che come me usano le parole per lavoro, per diletto o semplicemente per dare fiato alla bocca.

"Parole che inspirino autostima, gioia e speranza": hai detto niente! Come insegnante di yoga, ho scoperto (senza alcun preavviso) di essere un esempio e che tutto quello che dico (e come lo dico!) ha un impatto profondo sui miei studenti.
Come copywriter... beh, è un'altra storia! Il mondo della pubblicità e della comunicazione a volte può essere molto "finto". Pur di vendere un'immagine o un prodotto si diventa fin troppo spesso un po' subdoli.
Sbagliato!!!
Ed ecco il mio punto: non c'è alcun bisogno di inventarsi nulla e spendere preziose parole per vendere fumo.

Uno dei segreti di una buona comunicazione si basa proprio sulla verità: mai, e dico mai, inventarsi qualità di un prodotto che in realtà sono inesistenti o facilmente contestabili.
Perciò, anche se il cliente è innamorato del suo prodotto (o, spesso e volentieri, di se stesso), anche se implora in ginocchio di dire che la sua bottiglia d'olio contiene davvero oro liquido, non si cade nella trappola!

Il primo presupposto è che la gente non è stupida, non va presa in giro con giri di parole.
Quindi: chiarezza, trasparenza e semplicità. Bisogna dirlo facile. In modo creativo, certo, ma senza mirabolanti fantasie, piroette e salti mortali. Perché quando si cade da lì, ci si fa tanto, tanto male.
Essere "determinati" a comunicare con neutralità (consapevoli di tutti i punti forti e quelli deboli) è un'ottima base di partenza. Nonché un grande esercizio per la propria coscienza e pace interiore. Parola di Tich Nhat Hanh.

venerdì 26 luglio 2013

Still Words nella foresta dei giganti

Sequoia National Park, Sierra Nevada, CA

Con il loro silenzio gli alberi parlano. Se poi sono gigantesche sequoie millenarie, hanno davvero tanto da raccontare.
Mi hanno parlato di orsi, cervi e scoiattoli. Di nascita, vita, morte e nascita di nuovo. Delle ferite che il fuoco ha lasciato e di come siano in grado di sopportare un simile dolore e sopravvivere.
Ho visto il sangue di queste vecchie sequoie, le cicatrici rimarginate e quelle ancora aperte, le rughe, le braccia rivolte al cielo. Ho ascoltato il loro respiro, accarezzato il loro tronco raggrinzito e a volte felpato, sentito le loro radici sotto i miei piedi.
A bocca aperta, piccola piccola ai piedi dei giganti, mi sono sentita immensamente grata e senza paura di fronte ai timidi orsi che si sono fatti vedere.

In Sierra Nevada c'è questo luogo incantato che sembra uscito da un libro fantasy, una foresta dove ti aspetti di vedere da un momento all'altro gli Hobbit di Tolkien farsi un giro su questi colossi naturali (sequoie, per la precisione) che prendono vita.
Nella natura è più facile raggiungere uno stato meditativo e la creatività affiora in superficie più spontaneamente. Per quanto mi riguarda gli alberi sono come un'ancora: mi radicano e mi fanno sentire connessa, mi danno la base di partenza per spiccare i miei voli di fantasia.
Ecco perché questo post un po' fra cielo e terra: ispirata dalle sequoie ho letteralmente visualizzato una corrispondenza con alcune tecniche di scrittura e comunicazione.

Come gestire il flusso della nostra creatività? Cosa si fa di fronte a una pagina bianca?
Gli alberi danno l'esempio su come si possa stare con i piedi per terra e allo stesso tempo estendersi verso il cielo per raggiungere quei più alti livelli di consapevolezza da cui provengono le idee migliori.

Ogni volta che buttiamo giù un pezzo (oppure trasformiamo un pensiero in comunicazione verbale), le parole sono come foglie: così tante che è difficile contarle.
Le foglie hanno bisogno di restare agganciate ai rami, se non vogliamo perderci nel labirinto intricato della nostra stessa mente.

I rami delle nostre parole sono la griglia, la struttura attraverso cui il pensiero appunto si dirama. Si può definire questo processo elencando per punti, ad esempio, il filo del discorso. In modo da avere un sistema di riferimento attraverso cui non usciamo fuori tema e tocchiamo tutti gli argomenti che sono necessari perché le nostre fronde siano rigogliose ma anche organizzate.

I rami sono a loro volta attaccati a un tronco: impossibile pensare di esprimersi senza il supporto del proprio centro. Una comunicazione senza centro veicola fantasie senza un reale messaggio, manca di incisività e personalità. Il tronco invece è la forza di connessione tra la nostra pura creatività e gli strumenti che utilizziamo per esprimerla: da quel centro, tutti i punti della comunicazione (i rami, ovvero i contenuti) e le immagini che ne scaturiscono (le foglie, le parole, il rivestimento di quei contenuti), sono stabilmente legati alle radici.

Le radici sono le proprie esperienze, il collegamento alla terra da cui si trae la linfa necessaria per nutrire la propria creatività: il nostro background è unico, non ce n'è un altro uguale, e questo rende la nostra comunicazione originale.
Allo stesso tempo le radici sono i canali di comunicazione che ci connettono a tutti gli altri alberi della foresta (i nostri interlocutori, ovviamente!): le parole che fluiscono da quel fondamento esprimono così un processo creativo consapevole.

Sia per la parola scritta che per la comunicazione orale, quanti vantaggi ci sarebbero se tutti allenassimo la mente al punto tale da pensare prima di parlare e fare uscire fiori dalle nostre bocche?
Se la scrittura è creativa ma anche razionale, se le parole sono sotto controllo ed espresse consapevolmente, l'opera finale ha maggiori possibilità di comunicare con neutralità.
Neutralità significa ascoltare l'intera foresta intorno a noi, grazie a una visione dall'alto che ci consente di cogliere ogni minimo dettaglio e alla saggezza che deriva dall'avere radici connesse in profondità.
La comunicazione neutrale, frutto di una coscienza applicata ad ogni passaggio della nostra creatività, è possente (ovvero efficace) e longeva (perché i feedback durano a lungo nel tempo). Proprio come una sequoia gigante.

mercoledì 24 luglio 2013

Golden 2

Los Angeles, CA

Dorata come le star, le copertine patinate e le bionde platinate, le luci della ribalta e la chirurgia plastica che mantiene sotto i riflettori. Ma gli Angeli, cosa c'entrano con Los Angeles?



Forse passano da Hollywood, fra i turisti che mettono mani e piedi sulle impronte dei personaggi famosi davanti al Chinese Theatre, oppure sono nelle ville a Beverly Hills, nei Country Club, nelle boutique di Rodeo Drive?











Forse sono con gli homeless lungo Hollywood blvd o nel pueblo messicano e nelle orientali Little Tokyo e Chinatown, confinati downtown? 

Calle Olvera
Shojin Vegan Restaurant, Chinatown


Spiagge dorate, Venice Beach con i suoi freaky show, i ristoranti vip di Santa Monica, i surfisti di Malibu alla ricerca dell'onda più grande. Reach higher, reach for your spirit, suggerisce Rumi.

Venice Beach



Malibu Beach
La ricchezza è sfacciata di fronte alla povertà e non è tutto oro quel che luccica, in questa città. Il vero oro l'ho visto dalla collina, al tramonto, da dove la grande L.A. appare omogenea e Hollywood si riduce a un sign più vicino.
Sogni, speranze, grida d'aiuto si sentono da qui, lontani dal traffico imbottigliati nelle distanze ginormous, lontani dalle promesse e dai riflettori, forse davvero più vicini agli Angeles.
Un'altra bellissima luna piena, un'altra fonte di luce. Forse, dopotutto, la pretty woman Julia Roberts aveva ragione: bisogna continuare a sognare. Perché è la ricerca, insieme alla fiducia che ci si mette, a farci brillare davvero. E a ricordarci quanto Angeli siamo.



Golden 1

La Jolla Cove, San Diego CA

California: lasciato il Southwest, il Golden State promette sogni, libertà e possibilità, al suono di Red Hot Chili Peppers e Eagles.

Route 66

Joshua Trees on the road

 
Il detour al Joshua Tree NP lascia alle spalle un pezzetto della storica route 66 e un pit stop in un bar in mezzo al deserto, dove ti sei illusa di mangiare finalmente qualcosa e hai scoperto invece che il bar è in realtà il set di un film e ci vogliono altre 50 miglia prima di trovare (forse) altre forme di vita. Miraggio?

Joshua Tree National Park

E dopo gli alberi del deserto, le giganti rocce impilate, i 50 gradi e le dieci ore di macchina, San Diego è il ritorno alla realtà. A un porto tiepido, in effetti, persino con il cielo coperto e la pioggia.

Vista dall'Old Point Loma Lighthouse - Cabrillo National Monument



Cannoli siciliani in una graziosa Little Italy, lampioni e movida trendy al Gaslamp Quarter, profumo di oceano alla Jolla Cove, inteneriti dalle foche sulla spiaggia.



La Jolla Cove

E poi Balboa Park sotto la pioggia, sbirciando i musei, evitando lo zoo, sulle note di un improvviso concerto dedicato all'America, in un labirinto di giardini d'arte, archi e promenade con fontane e piazze da città utopica, pappagalli, danza del ventre e incantatrici di serpenti, sposi e modelle asiatiche alte 1 e 50.

Balboa Park


Un tramonto da Coronado, il bridge riporta alla base: il cielo terso e la calma piatta dopo la pioggia, solo qualche nuvola rarefatta, per far risaltare ancora di più una luna piena che non dimenticherò.



Coronado Bridge




Ho messo le ali e ho trovato la libertà nelle possibilità, San Diego. Domani si riparte, direttamente verso la città degli angeli.



domenica 21 luglio 2013

That's Amore

Grand Canyon, Arizona



Still mind: come avere l'esperienza?
Basta un panorama, nel silenzio e nei colori dell'alba. Lacrime di gioia: Dio è qui, immobile, eterno, in questa pace, talmente vicino che ti inonda il cuore e non smette un solo attimo di parlarti.
Come una capretta lungo il trail, in discesa, poi in salita, tenendo duro come nella vita. In contemplazione, solo il suono del respiro come mantra,
guardare dall'alto: una prospettiva che consente di scalare i propri limiti e vedere con occhi d'angelo.
Questo il cuore del mio Southwest, dal Nevada all'Arizona, dopo l'artificialità di Vegas e della Hoover Dam sul lago Mead, il tocco dell'autenticità nel grande canyon d'America.
Un colibrì a benedirmi, il sole ormai alto in cielo, altre persone lungo il mio stesso ripido sentiero, deserto fino a un paio d'ore prima.
E poi tramonto, pioggia, cervi, tutti a sforzarsi di fermare i fulmini che cadono sul rim con uno scatto fotografico.
Illusione: nessuna foto, nessun racconto, niente può scolpire o descrivere ciò che è Infinito. Solo l'Amore.






giovedì 18 luglio 2013

Miraggi



Las Vegas, dopo tre giorni di training di yoga sulla mente e i suoi trucchi, è davvero troppo per i sensi. Tappeto di luci già dall'aereo, è una continua girandola di effetti speciali. 








Casinò dopo casinò, tutto è spettacolo e apparenza lungo la Strip: abiti audaci, piume, costumi di scena alla Elvis, Marilyn Monroe e Marilyn Manson, finte Parigi e New York, Roma e Venezia, fra montagne russe, castelli, piramidi, fontane danzanti, musical ed effetti speciali.



25esimi piani e tv negli specchi del bagno, vecchietti attaccati alla bombola d'ossigeno e alle slot machines, fumo di sigarette, matrimoni veloci, three-feet drinks, agognate cool zones e gettonati frozen margaritas. Spudorata Las Vegas, con l'ampia scelta di sesso, scommesse, alcol. Fabolous Las Vegas, una favola destinata a infrangersi sul tavolo da gioco o alla fine di uno show.



Pesce fuor d'acqua nella città del peccato, non sto al gioco.
Meglio sprofondare nella Death Valley, morire e rinascere nel far west, sotto i 48 gradi senza l'ombra di un'ombra, in un deserto di rocce, bush e dune di sabbia bianca, ogni tanto un coyote e un tumbleweed. Fuori servizio il cellulare, wahe guru in sottofondo, non può esserci altro che rispettoso silenzio, nella valle della morte.










Meglio andare in profondità, meglio scommettere su se stessi che su una corsa di cani, non me ne voglia sin city: il vero peccato sarebbe non guardare dall'alto e con mente neutra vedere la big picture.

Death Valley, California