lunedì 1 aprile 2013

(b)log

Cielo dell'Africa



Perché questo blog? (Pare che la domanda sia d'obbligo all'inizio di ogni nuova avventura del genere).

La differenza fra me e i "blogger" è che io non ho alcuna idea di cosa significhi essere un blogger.
No, sul serio, ho dovuto cercare sul vocabolario.

Blogger: author of web log. Autore di un web-log, da cui blog.
Ovviamente a quel punto cerco anche "log" sul dizionario e, fra i mille significati più o meno conosciuti, uno che non immaginavo attira la mia attenzione: travel journal. Diario di viaggio.

Allora sì, sono una blogger da tutta la vita. O forse dovrei dire (b)logger, perché ho sempre scritto personali diari di viaggio ma non li ho mai condivisi sul web: quella "b" di "web" faccio ancora fatica a visualizzarla, persino adesso che un blog lo sto creando!
Qualcuno mi ha spronato: "tu sai scrivere, scrivi su Internet e quello è un blog!". Ma perché una che si è a stento messa su Facebook solo quando dentro c'erano già da anni tutte le persone che conosce, proprio ora dovrebbe scrivere i fatti suoi su un blog?
Innanzi tutto, proprio perché non sono fatti miei, sono miei fatti condivisi per sperimentare e applicare quella che definisco una comunicazione neutrale.

Stiamo vivendo tutti un'era di enormi cambiamenti, in cui le informazioni viaggiano a un ritmo frenetico e velocissimo e tutto è talmente a portata di mano (o di click!) che il cervello rischia di impigrirsi e l'essere umano di alienarsi. Ora più che mai sento che comunicare e sporgersi verso l'altro è fondamentale per tutti noi esseri umani: persino io, fuori (almeno finora) da ogni social network, ho fatto il passo e mi sono sentita subito un po' più vicina da qui negli States anche a chi è oltreoceano. Il punto è: basta questo per connettersi alle persone? Magari abbiamo milioni di contatti su Facebook, Twitter e tutti i social network del mondo, ma con quanti davvero c'è una connessione?

Esercitando una professione che mi consente di lavorare con la creatività e la comunicazione applicate alla scrittura e, allo stesso tempo, insegnando e praticando lo yoga, ho visto come queste mie due attività principali avessero qualcosa in comune: Still Words. Ovvero le parole silenti, quiete e immobili, quelle usate con consapevolezza a partire da uno stato di ascolto e neutralità, le uniche che hanno come risultato un feedback autentico e una comunicazione efficace.

La domanda dunque non è "perché" questo (b)log esiste. La domanda è "per chi".
Come il mio compagno di viaggio (nonché marito) saggiamente mi disse una volta, nel suo perfetto inglese americano: "people color your life"! E a me i colori piacciono.
Still Words è un buon esercizio per me che sono sempre stata un po' chiusa nel mio mondo, fatto di ipersensibilità ed eremi in cui sono sempre stata a mio agio. Da qui negli Stati Uniti muovo un passo e mi connetto, aprendo una finestra sul mondo attraverso cui, chi mai si facesse un giro qui in questo angolino di Internet, possa trovare cielo e una ventata di aria fresca.

1 commento:

  1. Che bello leggerti cara Stefi.
    Questa è la mia esperienza finora: scrivere roba tipo un blog è un percorso pieno di piccole trappole. Credo che la maggior parte di esse vengano dall'ego. Il rischio è scrivere chiedendoci tutto il tempo cosa penserà di noi chi ci legge. Desiderando che tanti vengano a leggerci, e scrivano commenti, e dicano quanto siamo bravi e quanto sono d'accordo con noi.
    Quando scrivo su internet mi dà sempre più emozioni di quanto vorrei.
    Forse il modo giusto è scrivere come su un diario solo nostro, come se nessun altro dovesse leggere. Scrivere soprattutto per noi e allo stesso tempo stare in mezzo agli altri e superare quell'ansia del loro giudizio. Reach out! E se poi qualcuno - magari un nostro amico, magari uno sconosciuto - ci trova qualcosa di interessante e vuole dirci la sua opinione, sarà una piccola cosa in più.
    Nel frattempo proviamo questa esperienza nuova e vediamo come ci sta...

    :-)

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