Spiaggia bianca su cui camminare anche a mezzogiorno senza scottarsi i piedi, il profumo e il suono dell'oceano (anche l'acqua ha la temperatura perfetta), vento fresco per rinfrescarti dal sole tropicale: per una siciliana che vive a Washington DC tutto questo è come scoprire di poter respirare sott'acqua!
Un'amaca in un portico di legno con vista oceano, un libro da leggere e il wifi con cui scrivere al computer direttamente dalla
cabaña. Nella natura, con il verde giungla e il blu infinito in tutte le sue gradazioni di colore tra cielo e mare.
Non a caso ho lasciato per ultima la costa del Golfo del Messico in questo viaggio: finalmente sono in paradiso! Solo che si chiama Tulum.
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Alba sulla spiaggia di Tulum |
Per arrivare qui, però, sono dovuta passare dall'inferno. E non mi riferisco alle avventure stancanti eppure bellissime delle mie esplorazioni: parlo di un solo giorno, a Chichén Itzá per la precisione.
Come in ogni viaggio che si rispetti ci sono sempre degli imprevisti. Cambiare hotel a Mérida all'ultimo momento perché in camera ci sono le
cucarachas può capitare, per esempio. Quello che riesce sempre a sorprendermi invece è quando un essere umano manca di grazia e gentilezza.
Tutto è cominciato la mattina presto che dovevo partire da Mérida per Chichén Itzá: questa volta ho avuto la brillante idea di prendere un tour guidato invece di andare da sola.
Aspetto nella hall dell'albergo che la guida passi a prendere me e un gruppo di altri turisti (diversamente da me, per lo più tutti in coppia).
La guida arriva correndo (è in ritardo) e letteralmente tira per il braccio solo chi trova più vicino. Non me, un po' distaccata, e carica come un mulo fra: valigia per quanto piccola, zaino riempito a tappo, busta della spesa perché dove sto andando non avrò da mangiare, giubbotto pesante (reduce dal freddo statunitense e di Città del Messico) che non ci entrava nella piccola valigia, in una mano il cellulare dando il buongiorno al mio CV rimasto negli US, l'altra nel marsupio per cercare la ricevuta del tour da far vedere alla guida.
Ma la guida frettolosa la ricevuta non la chiede. Quando chiedo conferma alla reception che si tratta del tour e mi fanno cenno di sì, corro fuori in strada per raggiungere il gruppo, le cibarie sporgendosi pericolosamente dalla busta e il giubbotto che si aggrappa alla vita con tutte le sue forze. Andrés, così si chiama la guida, prende la mia valigia e la carica sull'autobus, mentre io chiedo: "andiamo a Chichén, sì?" e lui "claro!" senza neanche guardarmi.
Solo dopo un quarto d'ora di viaggio, l'appello. Per raccogliere le ricevute.
"Scusi signore, non mi ha chiamato!" dico, visto che sembra io sia invisibile (sono seduta in seconda fila e lui è proprio di fronte a me!).
Si avvicina, mi strappa dalle mani la ricevuta, la guarda schifato, prende il microfono da guida e informa tutti: "Questa signorina si è intrufolata senza dire niente, ma non è con il nostro gruppo! La faremo scendere!" e lo dice pergiunta in due lingue. Perché lui, ci tiene a precisare giusto in quel momento, è una guida competente e parla la sua lingua, lo spagnolo, ma anche l'inglese ("spagnolizzato", aggiungerei io).
Gli unici quattro English-speakers sull'autobus (una giovane coppia di americani e una più cresciuta di australiani) si girano tutti insieme verso di me.
"
Lo que pasa..." ("il fatto è che..."), mi rivolgo a lui.
Ma Andrés ha già cominciato a spiegare il percorso, le fermate, le raccomandazioni per il viaggio, ignorandomi.
Mi si gonfia credo una vena sulla fronte, ma mantengo la calma e aspetto che finisca: "Signore, cosa facciamo allora? In che senso mi fa scendere?"
Risponde solo dopo che ha fatto una telefonata durante la quale io capisco tutto ma forse lui non ci crede che una donna che viaggia da sola parla più lingue di un uomo messicano che fa la guida: dice che io sono salita a sopresa sul suo autobus, senza dire niente, quando invece il mio tour era con un'agenzia diversa.
Una volta riagganciato, per maggiore chiarezza (sempre parlandomi come fossi una sordomuta che non capirebbe neanche la propria lingua) mi dice che io non sono nella sua lista e non posso andare con loro. "
Entiendes?
Do you understand?"
"Signore, io capisco, ma non ho intenzione di scendere da questo pullman e rimanere per strada da sola..." ma non mi ascolta né risponde, piuttosto fa un'altra telefonata.
"E va bene!" è la concessione dopo aver chiuso la telefonata. "La ragazza viene con noi, poi a Chichén Itzà però andrà con la sua guida dell'altra agenzia!".
E per tutto il prosieguo del viaggio in autobus fa quello che è la sua priorità, la guida. Degli altri. Io non sono sulla lista quindi non esisto.
Arrivati alla zona archeologica per la visita, chiede che tutti scendano gli oggetti di valore dal bus, perché potrebbero esserci furti.
"Ora ti passo all'altra guida!" mi dice sottovoce.
Ok, meglio pacco postale che dispersa.
Scendo con il mio marsupio e il pesante giubbotto legati in vita, lo zaino riempito come da trasloco in vista della prossima tappa, la busta con la spesa: non sono oggetti di valore, ma io devo cambiare autobus, giusto? Mi aspetto di recuperare anche la valigia, andare con l'altra guida e l'altro gruppo e posare tutto sull'autobus giusto, per fare comodamente la mia visita delle rovine.
Ma no: dell'altra guida neanche l'ombra, sotto i quaranta gradi del posto e il peso dei miei effetti personali. Lo deduco, visto che Andrés continua a fare quello che deve come se niente fosse, come se non dovesse consegnare il pacco. Armato ora di ombrello per farsi riconoscere, chiede che tutti lo seguano per andare a visitare le rovine.
"Signore" gli dico con voce gelida e pacata, ma bruciante. Ora sono al centro del gruppo insieme a lui. "Pretendo che lei mi risponda. Dov'è la mia guida?"
"Non è qui. Lei verrà con noi!"
Comunicarmelo no? Co-mu-ni-ca-zio-ne!
"Io sono carica di roba perché pensavo di fare cambio autobus (e guida!) come mi aveva detto! Non posso venire così con voi. Posso visitare le rovine anche da sola, ma almeno mi faccia lasciare queste cose sull'autobus!".
"Non si può, ora l'autobus è a fare rifornimento!"
"Ok, l'altro autobus allora... quello del mio tour!"
Silenzio.
"Tra l'altro ho anche la valigia nel
suo autobus, perciò voglio assicurarmi che non ve ne andiate senza che l'abbia prima recuperata..."
"Avevo detto di scendere tutte le cose di valore!"
"Signore! La mia valigia è stivata come tutte le altre, nel pullman!". Nessuno ovviamente si è portato dietro i bagagli, rimasti al sicuro nell'apposito scompartimento inferiore dell'autobus.
Lui smette di nuovo di parlarmi, prende il telefono e chiama, non si sa chi.
Gli altri ancora intorno a noi due, pubblico loro malgrado.
"La ragazza si rifiuta di entrare con noi a far la visita!" gli sento dire.
Mi esplode la vena del tutto e sento il fuoco dallo stomaco che arriva alla testa.
"Mi faccia parlare con l'agenzia!" gli dico.
Non mi risponde e chiude la telefonata.
"Mi dia il numero dell'agenzia, così chiamo io e voi andate, io visito le rovine da sola ma almeno mi organizzo con tutte queste cose!"
Non mi risponde e "spiega" a tutti cosa sta succedendo. "Allora, la ragazza non viene con noi, la sua guida verrà a prenderla! Noi andiamo!".
Timidamente, un ragazzo interviene: "Le ha chiesto il numero di telefono..."
A lui risponde, forse perché è maschio: "Non ho il numero, perché quella guida è di un'altra agenzia!".
A quel punto non ho più alcun dubbio. L'amabile messicano non ha mai preso accordi con nessuno, non c'è nessuna guida di 70 anni col bastone (sua descrizione) che dovrò riconoscere alla biglietteria e che sta aspettando me e, soprattutto, lui non è un signore. Decido quindi di non chiamarlo più così, anzi, di non rivolgergli mai più parola a mia volta. Mi rivolgo ai ragazzi americani chiedendo loro per favore di non farlo partire se prima non ho recuperato la mia valigia. Loro, assai solidali, mi fanno croce sul cuore.
Da lì, nel giro di mezz'ora, ogni cosa si risolve: trovo il numero dell'agenzia sulla mia ormai tristemente nota ricevuta, chiamo e qualcun altro (non la guida di cui mi aveva parlato lui, zoppa e settantenne, che poveretta non se la sentiva!) mi preleva dalla biglietteria e mi porta a recuperare la valigia alla stazione di rifornimento dove troviamo l'autobus.
Dopo due ore e mezzo sono dentro e sto visitando le rovine, senza la guida e senza il pranzo che erano inclusi nel tour. E senza il trasporto al cenote Ik-Kil la cui visita era prevista, a cui arrivo pagando un taxi a mie spese: bagno di folla, letteralmente, perché a quell'ora la grotta d'acqua è piena di turisti.
"Kukulcán!" esclamo dentro di me, perché sembra un anatema, ma in realtà in antica lingua Maya significa "serpente piumato" ed era il dio protettore dei sacerdoti.
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Piramide di Kukulcán, Chichén Itzá |
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Cenote Ik-Kil |
Dopo una notte di massacro di
mosquitos (io ne ho uccise 26 in camera, loro mi hanno lasciato 17 pizzichi di quelli enormi, duri e rossi sulle gambe e quanto basta sul resto del corpo), eccomi qui.
Ho preso un autobus di seconda classe, insieme alla gente locale, per arrivare a Tulum: niente tour, niente turisti, niente guide. Fra sacchi della spazzatura pieni dei loro oggetti di valore, musica latinoamericana e un autista che ama ballare mentre guida. Assolutamente perfetto. Come ho potuto cambiare queste abitudini di viaggio ormai collaudate?
Qui a Tulum sono iguane, azzurro, giochi di luce, albe e tramonti, onde, spiaggia, rovine Maya a ridosso sul mare.
Un caso su un milione: ritrovare una deliziosa coppia di francesi conosciuti a Palenque mentre visitano le rovine di Tulum lo stesso giorno che ho scelto di visitarle io. Andare a cena con loro un'altra volta, per festeggiare.
Un tassista che si chiama Ausencio ma gli piace essere chiamato Barack Obama (la somiglianza c'è davvero!) e dice di essere povero ma felice, perché così sa che tutti i suoi amici lo amano per quello che è e non per i soldi.
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Tulum, Zona Arqueológica |
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Chili relleno con tortilla di mais e salsa di fagioli |
E il Messico mi ritorna negli occhi tutto insieme: le croci Maya e quelle cattoliche, le superstizioni e la religione, il cibo piccante (oppure no) tra
chili relleno,
guacamole e
pico de gallo,
licuados de chaya, zuppa di cactus,
tortillas,
tacos,
tamales,
frijoles,
antojitos e tanti altri buonissimi piatti (vegetariani) che ho assaggiato. Le zanzare, i giganti pipistrelli vampiro e le enormi
cucarachas. Gli "
andale!", i "buen
@s!" (per abbreviare il buongiorno e la buonanotte), i "
muy amable!" che mi ricordano il "troppo gentile!" siciliano. Le rovine, i palazzi coloniali, le spiagge, l'oceano. I suonatori
mariachi. Le persone gentili, sempre disposte a darti una mano, a fare amicizia o farti compagnia (compresi i tassisti sognatori e i camerieri che quando hai già pagato il conto si dicono preoccupati che mangi troppo poco), e anche quelle che sono state sgarbate, perché è solo che non conoscono il loro lato migliore.
Non so perché le altre persone dopo una certa ora vanno via da questa meravigliosa spiaggia di Tulum, ma io rimango fino al tramonto. Voglio imprimere nelle orecchie il suono dell'oceano e del vento, negli occhi l'azzurro del cielo, il blu del mare, il candore della spiaggia e il verde delle palme, nei piedi la morbidezza della sabbia fresca e le carezze delle onde.
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Tramonto in spiaggia |
Il momento è arrivato, cammino lentamente verso la riva lì dove l'oceano bacia la sabbia. Lascio delle orme che presto verranno cancellate dalla risacca. Guardo l'orizzonte: non c'è terra oltre le gradazioni di blu davanti agli occhi. Mi perdo volontariamente in quell'infinito e mi sento libera, salata e immensa.
Prendo un bel respiro e saluto, grata. Volto le spalle e faccio qualche passo. Sembra quasi che lui (l'oceano del Golfo del Messico) mi voglia seguire, un'onda dopo l'altra, l'acqua dietro i miei talloni.
"Ti ringrazio di cuore, ti porterò sempre con me, ma il mio posto è dove posso essere una e infinita come adesso, però in due corpi..." e gli occhi grandi del mio CV mi appaiono, il profumo della sua pelle nell'aria insieme alla brezza marina.
Domani si torna a casa.